Adesso puoi anche offrirmi il pranzo…

Sarei ipocrita se dicessi di non pensarci. Sì, ho voglia. Ancora. Manca poco alle 13. Non so se sperare di veder arrivare il collega o meno. Non ho programmato niente, come sempre. Seguirò l’istinto su una via pericolosa ma che ho sempre percorso. Non mi tiro certo indietro adesso… Guardo con insistenza l’orologio. Il non-collega di stanza puntuale e noioso come sempre, esce dall’ufficio per andare a pranzo mentre parla al telefono con la conquista di turno di cui domani si vanterà con dovizia di particolari intimi e non. Sono sola adesso nella mia stanza. Mi alzo, il rumore dei miei stiletti metallici mi accompagna alla copiatrice. Guardo ancora l’orologio, un’occhiata a whatsapp e alle e-mail. Nessun segno di vita da nessuna parte. Non riesco a lavorare, ho la testa altrove, forse fin da quando mi sono alzata, forse già da ieri. Mi sento bagnata, ancor più di quanto non lo fossi già stamani e di quanto non lo sia stata tutta la mattina.

Approfittando del momento di solitudine mi sollevo leggermente il tubino per aggiustarmi i collant, prima di farlo scendere nuovamente al suo posto… a coprirmi quel poco che basta a far nascere fantasie su di me. Sì. Mi eccita mostrarmi. Non l’ho mai negato. Mi eccita pensare di esser oggetto di fantasie di qualsiasi tipo. Mi eccita intuirlo, leggerlo nelle parole dette e non dette, fra le righe di mail elegantemente intense, sentirlo attraverso gli occhi di chi mi guarda. Mi rimetto a sedere, accavallo le gambe, muovendo nervosamente il piede sotto la scrivania con un tintinnio metallico di cui mi accorgo troppo tardi ogni volta che sbatto lo stiletto con non so bene cosa, ma non mi importa. Mi giro a specchiare il mio tempo nel monitor di un computer inutilmente acceso davanti a una che non sono io. Io sono altrove. Immersa nelle fantasie di una mattinata insolita e molto poco produttiva.

La porta si apre. Cammina sicuro verso di me, mi saluta porgendomi la mano. Non ricambiato. Lo guardo negli occhi «non ti facevo così formale, a quando il baciamano?». Sorride, senza replicare, ritraendola. Poi decido di mentirgli: «Complimenti, non credevo tu arrivassi». Mi risponde guardandosi attorno a sé, quasi a volersi appropriare dell’ambiente circostante «E perché mai non avrei dovuto?». Poi gli occhi tornano a incrociare i miei: «Beh, non è da tutti… te l’assicuro…». Si alza e cammina lentamente per la stanza… andando ad appoggiarsi in piedi alla scrivania del collega. Decido si passare al contrattacco… Mi sposto indietro con la sedia, mi spingo allo schienale e appoggio i piedi sulla scrivania, incrociando gli stiletti delle scarpe, quasi come in un duello di spade: «ti sei spostato per avere una migliore visuale?» sorridendogli maliziosa. La risposta è secca e sincera. «Sì» guardandomi dritto negli occhi. Lascio incrociate le gambe, appoggiate ad una pratica aperta sul ripiano, con i sandali che si muovono lentamente lanciando impercettibili segnali a chi li ammira. «E io che pensavo fossi venuto per invitarmi a pranzo…» accompagnando la fine della frase con un cenno interrogativo della testa e con un sorriso esplicativo… Mi guarda ancora, poi raccoglie le braccia incrociandole e con un sospiro appena accennato partendo deciso in contropiede: «Io sì… ero venuto proprio per invitarti a pranzo… ma vedo che te hai altre intenzioni…».

Anche lui lascia sospesa la frase aspettando una mia replica che non tarda ad arrivare… «E cosa te lo fa pensare?». In realtà il ritmo della frase è spezzato da un momento di eccitazione che coglie nel segno chi mi guarda… È innegabile… sono eccitata… Stavolta in silenzio scorre il mio corpo, quasi accarezzandomi col suo sguardo. «Il fatto che se venissi lì a toccarti, adesso, ti troverei già bagnata fradicia e desiderosa di andare ben oltre una semplice carezza…». Gli faccio un cenno con la testa facendogli capire che ha azzeccato in pieno… Poi l’istinto mi fa spingere oltre qualsiasi razionalità. «E cosa aspetti?» Faccio scendere una gamba portando lo stiletto a toccare di nuovo terra… l’altra decido di lasciarla sopra… ancora. Mi trovo lì davanti a lui in una posa oscenamente eccitante… Si avvicina, guardandomi… Mi accarezza la gamba rimasta su… risalendo forse troppo velocemente verso il calore del mio desiderio… Le sue dita si stanno bagnando attraverso i collant e l’impalpabile perizoma trasparente, lasciati scoperti dal tubino risalito per la posizione in cui mi trovo. Mi spingo in avanti sulla sedia, gemendo di piacere… La sua mano frettolosa cerca l’ingresso di un piacere che gli nego bloccandogli la mano con le mie cercando di riprendere il controllo della situazione: «No, accontentati di questo…». Una smorfia di disappunto appare sul suo volto… ma decide di continuare a giocare… Le sue dita saranno presto strette nella morsa delle mie cosce che conterranno appena le convulsioni di piacere che mi faranno rannicchiare contro la scrivania col respiro ansimante e il battito a mille. Cerco di contenere anche i gemiti… almeno per quanto mi sarà possibile… Torno ad appoggiarmi allo schienale accavallando nuovamente le gambe, ma lasciandogli la visuale completa fasciate dal sottile velo della sensualità e lasciate totalmente scoperte dal tubino ormai risalito in vita…

Non parliamo per interminabili istanti… attendendo che il mio respiro torni quasi regolare… Mi si riavvicina, vorrebbe andare oltre… vedo e sento la sua eccitazione… ma torno a riappropriarmi del gioco… ed emerge la stronza che è in me… Mi alzo in piedi strusciandomi brevemente a lui… prima di allontanarmi per ricompormi. «Bene, adesso puoi anche offrirmi il pranzo… Non eri venuto per questo?». Accusa il colpo ma non mi dà la soddisfazione di replicare. «Certo. Andiamo».

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