La sfida

L’insolito silenzio del corridoio che porta alla quotidiana pausa caffè viene interrotto dal rumore dei miei sandali rossi tacco 12 che avanzano nervosamente sul pavimento lucido. Probabilmente l’inusuale anticipo di qualche decina di minuti mi ha fatto evitare di incrociare sguardi indiscreti e chiacchiericci di colleghi insopportabilmente semisconosciuti. Mi specchio nel vetro quasi oscurato del distributore, un ritocco alla mini scozzese e ai bottoni della camicetta… giusto il tempo di chinarmi a prendere i miei cinque minuti di pausa. Mi siedo per qualche istante gettando una fugace occhiata sulla copertina di qualche futile e inutile rivista lasciata sul poco accogliente tavolino metallico. La percezione attraverso il sottile velo dei collant neri del fastidioso freddo della sedia mi provoca inconsciamente una smorfia sul volto. «Fa schifo, lo so». Fosse stata la scena di un film potrei definirla una voce fuori campo. Alzo gli occhi, guardando con aria interrogativa un collega che si è palesato a pochi passi da me. Evidentemente dall’espressione del volto deve aver travisato la sensazione di fastidio con un probabilmente giusto disgusto per il liquido che sta bagnando le mie labbra. Rido divertita, ricambiata. Lo osservo inserire sicuro la chiavetta per scambiarla con un bicchierino di plastica che a breve si poserà sul tavolo accanto al mio. Lo guardo dritto negli occhi, è sicuro di sé e non si nasconde dietro false ipocrisie come la maggior parte dei colleghi. Regge lo sguardo. Lo ammetto, non è da tutti: molti sono intimoriti a torto o a ragione da una pseudo-aggressività che non sento mia. È esplicito. Fin troppo. Passo la lingua sulle mie labbra per raccogliere le ultime gocce di caffè. Mi corteggia con apprezzamenti sul mio aspetto, sul mio look e sulla mia personalità. Poi arriva al dunque con parole forti, dure ma che sento profondamente, sincere. Gioco con la palettina di plastica fra le mie labbra succhiandone le ultime gocce di sapore prima di farla finire nel suo bicchiere. Ascolto in silenzio il disegno delle sue fantasie. Ma in qualche modo devo riappropriarmi del gioco. Mi alzo in piedi aggiustandomi la gonna e mi avvicino al suo orecchio… sfidandolo, apertamente… Gli sussurro gli stessi termini espliciti e lo provoco chiedendogli di non fermarsi alle sole fantasie. Non si scompone. Mi guarda in silenzio per pochi secondi. Troppi. Poi i miei sandali rossi tacco 12 ricominciano a camminare ritmicamente sul pavimento. Mi soffermo, girandomi verso di lui. Lo guardo e rilancio la sfida: «alle 13 nel mio ufficio».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.