Messaggio in bottiglia

Sette parole. Sono solo sette parole. Ma sono sette stramaledettissime parole che mi hanno messo in crisi. Spesso non si pensa troppo a ciò che si dice, talvolta ci lasciamo andare a sproloqui anche senza senso e senza un filo logico. A volte no. A volte le parole dette e, soprattutto, quelle ricevute hanno un senso. Ed un peso. Grande e ingombrante come ciò che ho sempre rifiutato, come ciò che ho sempre saputo essere dentro di me ma che ho sempre ricacciato nei meandri della mia anima e della mia personalità. Nascondendomi da me stessa e in me stessa. Quelle sette parole le ho lette velocemente con la voracità e la superficialità di chi ha fretta di assaporare il resto dell’e-mail ricevuta la settimana scorsa. Poi però mi sono rimbalzate nella mente per giorni e giorni facendomi prendere una pausa. Da tutto. E soprattutto da me stessa.

Chi le ha scritte mi conosce maledettamente bene, seppur senza avermi mai incontrata. E questo mi fa incazzare ancora di più. Io che ho sempre rivendicato la mia identità, la mia autonomia e la mia personale libertà d’azione mi ritrovo a confrontarmi con qualcuno che ormai inevitabilmente è dentro di me e mi conosce da dentro come, forse, nemmeno io mi conosco. E mi sono sentita alle corde. No. In realtà mi sono messa alle corde. Da sola, indubbiamente. Come in tutta la mia vita che ho sempre condotto contro tutto e contro tutti, contro pregiudizi e stereotipi e, ancor di più, contro la banalità del niente e la vacuità delle persone. O, forse, soltanto contro me stessa, talvolta privandomi del piacere di un sorriso o di un gesto d’amore. E quelle sette parole continuano a rimbalzarmi ancora nella testa: «Ti sei messa da sola all’angolo».

A chi legge non diranno niente queste lettere mischiate quasi casualmente a comporre sillabe e lemmi, ma sono una diretta conseguenza del mio post precedente sulla regola aurea. Ho detto no. Ho detto no molte volte nella mia vita. E, forse, l’ho detto una volta di troppo. Sono una grandissima stronza. Non è un segreto. Lo sono sicuramente, ma non al punto di avvelenare la vita di chi non mi merita. E non potrei far diversamente. Non potrò mai dare emozioni e sensazioni necessari a vivere e a convivere con la propria anima nella serenità che è dovuta. Questa settimana sarebbe potuta essere una delle più cruciali della mia vita. E, forse, la più desiderata degli ultimi tempi. Ma mi sono messa all’angolo. È vero. Chapeau. Ammetto la sconfitta. E per chi mi conosce bene sa che mi pesa scrivere queste parole. Ma è una sconfitta che vuol essere un gesto di profondo amore verso chi ha diritto di provare sentimenti veri con una donna che possa dargli tutta se stessa. E non sono io, né potrò mai esserlo. Il «no di troppo» è frutto della sensazione, anzi… della certezza, di essere un ostacolo. Un ostacolo alla felicità di chi mi ama. Io non sono la sua felicità. E (mi ripeto) non potrò mai esserlo. Potrò essere passione, fuoco, complicità, emozione, trasgressione, perversione, fantasia, sesso anche sfrenato ma non potrò mai rendere felice chi amo.

Sì. È la prima volta che scrivo pubblicamente che amo qualcuno. E gli rendo onore con la resa delle armi come si conviene dopo schermaglie e battaglie fra persone intelligenti e corrette. In questo sabato sono in mezzo a centinaia di migliaia di persone a manifestare per ciò in cui credo. E paradossalmente, forse, sono a poche centinaia di metri dall’indirizzo reale del destinatario di questo «messaggio in bottiglia». Sono l’unica intenta a scrivere sulla protesi tecnologica della propria anima senza gustarmi la gioia e la festa di manifestare. E forse sarò l’unica che sta piangendo ben nascosta dietro occhiali da sole che servono a coprire le mie emozioni e a nascondermi ancora una volta in me stessa. Paradossale per una che ha fatto dell’esibizionismo uno dei suoi punti di forza. Mi specchio in una marea di sguardi di ogni tipo che mi leggono solo superficialmente. Ho messo a nudo i miei sentimenti rendendoli pubblici. E chi mi conosce sa bene che non è da me. E rendo nuovamente onore al merito di chi ha saputo farmi perdere la testa. Chiedo perdono. Ma lo devo. Lo devo alla sua vita. Alle sue emozioni che sanno già quale strada potranno percorrere. Quoto le bellissime parole che mi hai scritto e che non ripeto per correttezza «Come te…». Ti amo, ma non voglio farti del male e te ne farei proseguendo su questa strada impervia.

Appena pubblicherò questo post, asciugherò il mio viso dando la colpa a qualche evento esterno, forse atmosferico e guarderò avanti, cancellandomi all’interno della marea di gente festante e urlante che mi circonda. Forse mi prenderò una pausa anche dal blog. Forse no. Sono istintiva, come ho sempre detto e scritto. Quindi seguirò il mio istinto anche stavolta. Magari domani ci sarà già un altro post. O forse arriverà fra un bel po’ di tempo. Non so. Grazie a tutti per sopportarmi. Lo so. Non sono una facile e molti lo sanno bene. Buon weekend. A presto.

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