Peccato.

Lo ammetto. Ero la più vecchia. E di gran lunga. Non mi era capitato finora di partecipare ad una cena con mie non-coetanee, ventenni d’assalto tutte protese ad una ricerca edonistica esasperata ed esasperante, apparentemente mitigata solo da protesi tecnologiche all’ultimo grido e abiti griffati d’ordinanza. Con una vanità che fa pari solo alla loro ignoranza (nel senso etimologico del termine: ignorare, non sapere). Comunque simpatiche per molti versi, sfrontate come lo siamo state tutti a vent’anni… Si sa… «a vent’anni si è stupidi davvero» per citar il Maestro. Sufficientemente maleducate e irrazionali. Come da copione. Spesso sembra che recitino una parte «scritta per altre, tanto tempo fa» (sempre cit.) a cui si adeguano senza batter ciglio perché è quello che loro pensano che tutti si aspettino da loro. Molte dotate di un’imbarazzante superficialità. Adesso posso capire come il mio quasi inutile collega d’ufficio possa aver successo. L’importante è non uscire dal seminato del loro ben delineato percorso di conoscenza limitata. Conoscono i reality ma non la realtà. Sanno tutto dei partecipanti a discutibili trasmissioni televisive ma non hanno idea di chi viva loro accanto, di chi incontrino per strada, di ciò che c’è al di là del loro campo visivo. Non si perdono un TG che parli di moda e della Belen di turno, ma si guardano bene dal cercare di capire o di cercare notizie vere. E quello che fa più male è il fatto che non ne sentano nemmeno il bisogno. A loro basta avere quelle poche nozioni di vita generale. Del resto chi se ne frega.

Sono stata al gioco cercando di millantare la conoscenza di pettegolezzi su personaggini e pseudo-vip di cui non avevo mai sentito parlare, dando loro risposte generiche ma con una tale convinzione che hanno addirittura creduto fossi un’esperta. E ne sono diventata quasi un idolo. Dentro di me non sapevo se piangerne o riderne. Basta che qualcuna abbia un minimo di cervello e di intuizione psicologica che può lavorarsele come vuole. Capire cosa vogliono o, meglio, cosa vogliono sentirsi dire o rispondere è un gioco da ragazzi. Purtroppo. E questo è inquietante. Poi non ci si meravigli delle cose che succedono.

Se non si guardasse a questi aspetti grotteschi, la serata è stata tutto sommato divertente. La ragazza che mi ha invitata è un po’ fuori dal coro rispetto alle sue amiche e, penso, si sia accorta del mio disappunto che cercavo di contenere in certi frangenti. In un momento in cui eravamo sole mi ha chiesto se mi sentissi a disagio. Sono stata sincera. Il disagio non avrebbe dovuto esser mio, magari loro per certe convinzioni e banali omologazioni. Si è messa a ridere, convenendo con me. Ma le ho comunque detto che mi ha fatto immensamente piacere esser invitata, confessandole tutta la mia profonda e sincera simpatia nei suoi confronti, trascritta a chiare lettere nel «biglietto» allegato al regalo. «Biglietto». Sì. Scritto con le virgolette, perché volevo comunque distinguermi e allo stesso tempo far qualcosa di malizioso e goliardico. Sarebbe stato troppo banale uno dei soliti prestampati con torte, candeline e altre amenità simili. «Sei una delle poche persone che salverei là dentro…» (riferendomi al nostro comune ambiente lavorativo) sono le poche parole che ho scritto con un pennarello colorato sul bordo argentato di un preservativo allegato alla scatola. Il cui contenuto è azzardato. Per lei. So che le piacciono le scarpe con i tacchi alti, qualche giorno fa aveva anche provato le mie con le difficoltà del caso… come ho scritto in uno degli ultimi post. Ho provato a regalarle dei sandali tacco dieci. Un po’ di più di quanto è abituata a portare… Ma magari lo può prendere come allenamento. Per arrivare magari fra un po’ di tempo ad osare di più… Come me…

Comunque sia, il mio look è stato approvato e apprezzato dalle sue amiche. Il che mi ha fatto capire che pur essendo più vecchia di loro, ho ancora un po’ di gusto giovanile nel vestire. «Twenty-Approved» come ho detto loro ridendo. Ho scelto un look aggressivo. Non sapevo esattamente a cosa andassi incontro e quando mi sono preparata ho optato per un gioco d’assalto, forse esagerato. Scarpe tacco quindici, autoreggenti nere, miniabito scuro, perizoma velato. Sulle scarpe ho battuto tutte. Molte di loro avevano tacchi alti, sotto i dieci, una ha azzardato un dodici. Abbiamo parlato delle nostre esperienze, anche sessuali. Quasi tutte hanno una visione incentrata sul piacere personale, indipendentemente dal proprio partner, non lasciandosi sfuggire esperienze occasionali o puramente sessuali. Scelte personali che in quanto tali non posso che condividere. Molte hanno più reticenza a parlare della masturbazione piuttosto che di rapporti estremi, quasi fosse una vergogna, probabile retaggio di educazioni repressive. Si sono meravigliate del fatto che mi dia piacere abbastanza frequentemente e che ne parli senza reticenze. A molte prima di parlar con me avevo dato l’impressione di essere una macchina da sesso, con chissà quanti e quali partner. Ho cercato di spiegar loro il sottile gioco della seduzione, del vedere e non vedere, dell’osare e dello scegliere, del gestire il gioco. Non credevano che andassi a lavoro vestita in modo sexy, la ragazza che mi ha invitata ha dovuto giurare per me… Da lì è iniziata una discussione animata sui look in ambiente lavorativo… Terminata solo all’arrivo della torta. Poi sono arrivati i ragazzi di molte di loro. E l’atmosfera è cambiata. Anche per me.

Quelle che prima si erano lanciate in dettagliate spiegazioni anatomiche di rapporti estremi con partner occasionali adesso sono lì abbracciate a quelli a cui fanno credere d’esser gli unici uomini della loro vita. Molti sono dei bei ragazzi, indubbiamente. Faccio finta di non veder i loro sguardi sfuggenti sulle mie gambe, anche per ragioni di opportunità. Mi accorgo di aver scoperta la balza delle autoreggenti. Decido di restare così. Sono bastarda. Lo so. Ma mi piace provocare, gestire il gioco. Alcuni sono solo amici, altri credono di essere i loro ragazzi. Mi vengono presentati tutti uno per uno. I più smaliziati oltre alla stretta di mano si lanciano nel rituale del doppio bacio sulle guance, qualcuno mi cinge la vita con una mano che poi lascia scivolare, sfuggevole.

Mi alzo per andare in bagno chiedendo il permesso ai due che si sono seduti alla mia destra. Spostano le gambe per farmi passare. Mi spingo contro il tavolo di legno massiccio per cercare un passaggio davanti a loro. Sono di schiena, ma immagino le loro facce, i loro sguardi su di me, sul mio sedere quasi scoperto, sulle mie autoreggenti, ben in vista da dietro, sui miei tacchi quindici. Attraverso il locale senza aggiustarmi, cercando di camminare il più lentamente possibile. Sento gli sguardi su di me, anche di altri tavoli occupati da relazioni fintamente durature.

I servizi sono condivisi. Entro nell’unico libero e una volta fatto scivolare il perizoma sotto le ginocchia inizio gli esercizi ginnici a cui tutte noi donne siamo abituate. Intanto sento passi anonimi entrare e uscire dal bagno sottolineati dal cigolio usurante della porta. Mi alzo in piedi e faccio risalire il perizoma, quando sento entrare nell’antibagno due ragazzi che parlano a voce alta. E parlano di me. Mi affibbiano epiteti espliciti, sottolineando il mio look e tutto ciò che non ho fatto niente per nascondere. Uno ribatte aggiungendo tutto ciò che vorrebbe farmi. Mi eccita la situazione… Non sanno che sono lì ad ascoltare. Ad ascoltarli. Uno chiede chi sia, l’altro replica che sono una collega della sua amica. E di epiteti ce ne sono anche per lei. E tutti e due ad inanellare una dietro l’altra una serie di situazioni più o meno spinte di cui mi vorrebbero veder protagonista. Mi eccita la situazione. Sentire a viva voce tutto ciò che potevo solo intuire pensassero di me. La mia schiena finisce contro le mattonelle viscide del bagno, sporcate da pennarelli indelebili. Le mie mani si bagnano entrambe dei miei desideri più osceni. Sento ancora parlar di me… delle loro fantasie più estreme e volgari. Ho voglia. Ma decido di prendere in mano il gioco. E mi piace giocar d’attacco. Esco dal bagno e me li trovo davanti. Trasfigurati in volto. Sorrido loro mentre mi lavo le mani e dopo essermele asciutte mi presento di nuovo porgendo loro la mano. «Piacere. Ho sentito che mi apprezzate. Mi fa piacere» cercando di usare un tono il più malizioso possibile. Calano entrambi in un improvviso silenzio, paonazzi in volto. Non sanno cosa e come replicare. Cerco di interrompere l’imbarazzo… faccio loro l’occhiolino… «non volevo interrompervi… continuate pure… io torno al tavolo…». Sapevo già che non li avrei più visti… Peccato.

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