«Ecco! Grande! Lo sapevo…»

Mi piace vedere le persone come cambiano. Specie quando si trovano in situazioni non abituali o in quelle dove possano essere davvero loro stesse o siano libere di esprimere la loro interiorità senza problemi e senza preconcetti. È uno dei motivi per cui da anni mi piace frequentare il Lucca Comics. Un’ondata energetica di potere della semplicità e spontaneità in cui la maggior parte delle persone riesce ad essere finalmente se stessa, anche lasciandosi andare a comportamenti e atteggiamenti ben lontani dal loro abituale.

Ed è una cosa che spesso facciamo tutti i giorni senza rendercene conto, magari al contrario. Non ne siamo consapevoli, ma in realtà il travestirsi da qualcun altro è pratica quotidiana, in qualsiasi parte del mondo e della società. Quanti di noi si «travestono» da impiegati, operai, professionisti e chi più ne ha più ne metta ma solo perché vi siamo costretti dalle circostanze sociali, dal lavoro, dall’esigenza di una contropartita economica alla nostra ipocrita realtà. Quanti di noi farebbe tutt’altro… magari un altro lavoro, o magari lo stesso lavoro che svolgiamo anche con abnegazione; ma pensiamo con che spirito diverso lo faremmo se solo fossimo liberi di esprimere tutto il nostro io interiore. Gli eventi come il Lucca Comics fanno tornare a galla la libertà dei nostri pensieri in cui nessuno giudica nessuno, in cui si può andare in giro con squarci nella pelle senza risultare ripugnanti o vestite da ninfette mezze nude o in lingerie da urlo in bella vista senza necessariamente passare da poco di buono. È energia vitale, forza, eleganza, purezza di spirito e voglia di divertirsi, di accantonare l’ipocrita realtà a cui siamo relegati e a cui ci dobbiamo omologare per non essere diversi o sentirsi tali da ciò che crediamo essere le aspettative nei nostri confronti.

Io da tempo ho scelto di tornare ad essere me stessa, quella me stessa che è stata fin troppo relegata in fondo al proprio io spinta sempre più giù dall’idea di pensieri altrui di cui ho iniziato a fregarmi, facendo tornare a galla emozioni e sensazioni sopite dall’omologante prassi quotidiana di convenienze personali e non. Ho lottato contro pregiudizi e luoghi comuni difficili da estirpare dalle menti umane, uomini e donne che siano seppur per motivi diversi. Nei giorni scorsi ho dibattuto con un’amica sulle aspettative che si hanno. Fregatevene. Le aspettative siamo noi stesse. Nessuna di noi sarà mai felice al cento per cento del suo status o del suo fisico o del suo lavoro o della propria condizione sotto qualsiasi aspetto. Ma dobbiamo smetterla di denigrarci aspirando ad un livello che riteniamo inarrivabile. Godiamo delle piccole cose, dei piccoli successi di ogni giorno, delle piccolissime realtà quotidiane che ci possano gratificare lo spazio di un istante. Gioiamo anche solo per il sorriso di uno sconosciuto che ci incontra per strada, ma semplicemente perché quel sorriso ci ha regalato la felicità di un momento senza iniziare a elucubrare sul perché ci abbia sorriso e sul chiedersi se gli piacciamo o meno. Siamo noi stesse. Non possiamo piacere a tutti, così come a noi non possono piacerci tutte le persone che incontriamo. A volte dobbiamo conviverci comunque, per i motivi più disparati. Ma dobbiamo smetterla di farcene un cruccio. Viviamo in modo più aperto e naturale, cercando di essere davvero noi stesse. E parlo al femminile solo perché mi viene naturale, ovviamente, ma il discorso può esser fatto per qualsiasi essere umano al di là del sesso.

Siamo talmente mentalizzati nel cercare necessariamente una normalizzazione sociale che talvolta non concepiamo proprio il fatto che una possa sentirsi libera di essere semplicemente se stessa. Ne ho avuto la riprova proprio in occasione della manifestazione. Ho scelto un look per me abituale, con cui sono anche andata a lavoro più volte, sexy ed elegante. Camicetta bianca sbottonata al punto giusto dal far intuire senza far vedere, minigonna verde, collant con ricami a disegnare un effetto autoreggenti, scarpe verdi tacco dodici. Mi hanno fermata in diversi a chiedermi da chi fossi vestita, quale personaggio interpretassi e molti hanno stentato a credermi quando dicevo loro che ero semplicemente me stessa e che non avevo altro che un look con cui sono anche andata a lavoro. Ho visto dai loro sguardi perplessi che si sono allontanati assolutamente convinti che li prendessi in giro. All’ennesima domanda identica mi è tornato in mente un termine emerso durante un dialogo avuto con un’amica pochi giorni fa (seppur totalmente avulso dal contesto). «Da ninfomane» gli ho risposto. «Ecco! Grande! Lo sapevo…» e se n’è andato felice e contento di avermi categorizzato e classificato come personaggio, normalizzando il mio status all’interno della società ed estrapolandomi dal contesto in cui avevo deciso di essere semplicemente me stessa. Felice nella sua più completa inconsapevolezza che gli ho raccontato una balla. Ma così è. Alla fine di tutto io tornerò ad essere quella che va vestita da troia in ufficio per chissà quali secondi fini o quella che si deve per forza mettere in mostra perché si sente figa. No. Io sono me stessa. Punto.

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