Sono istintiva. Sempre.

Le fredde pratiche su cui ho dovuto lavorare mi hanno aiutata a metter la testa altrove e hanno contribuito a lenire gli istinti che mi hanno pervasa. Accavallo le gambe sotto il tavolo, sento col ginocchio il freddo del piano della scrivania che mi arriva attraverso i collant velati. Muovo il piede, lentamente, giocando con lo stiletto dodici delle scarpe. Rispondo svogliatamente al telefono cercando di dare risposte sensate a domande a cui non presto attenzione. Decido di anticipare il coffee break. Ignoro il collega di stanza che mi guarda con aria da beota emettendo suoni cacofonici ed esco verso qualche minuto di libertà mentale e fisica. Scendo le scale, lentamente. Anche se stavolta non sono osservata da nessuno o almeno da nessuno che possa notare in giro… Arrivo al bancone accolta da un sorriso di serenità. Chiede il cambio ad una stagista che da qualche giorno lavora a fianco a lei rassicurandola che tornerà subito. È estremamente professionale. Oltre che ad essere una bella ragazza. «In quanti ci hanno provato con te?» le chiedo sorridendo… Arrossisce, forse ho esagerato a farmi gli affari suoi. Cerco di spezzare l’imbarazzo «Beh, sai… Sei una bella ragazza, immagino non sia passata inosservata… era solo una battuta». Lei sorride e risponde a tono «Ovviamente qualcuno c’è sempre… ma sono sicura molti meno di quelli che ci provano con te…». Ridiamo mentre risaliamo le scale per arrivare al piano del coffee corner.

Si lascia andare, mi confida di qualche problema col suo ragazzo, chiedendomi qualche consiglio che le dispenso volentieri. Ci mettiamo a sedere a (dis)gustare il caffè e mi dice di quanto ammiri i look che sfoggio ogni giorno. Le piacciono molto le scarpe con cui mi presento e confessa che molti mi aspettano all’ingresso, la mattina, per godere silenziosamente del mio aspetto. Lo so bene. Li vedo quotidianamente nonostante siano fermamente convinti di non farsi notare. Comunque sia provo un certo piacere nell’averne la conferma, nel sapere che sono oggetto di altrui desideri. Anche a lei piacciono i tacchi, ma li indossa solo nelle grandi occasioni in cui sono quasi di protocollo. Non è mai andata oltre un sette-otto, anche se le piacerebbe provare ad osare di più. La nostra conversazione è interrotta da un collega che si siede accanto a noi disquisendo sulla fortuna di averci trovate per far due chiacchiere e chiede se possa offrirci qualcosa. Faccio la bastarda. Come mi riesce bene. Colgo l’occasione e senza aver premeditato niente, allungo la mia gamba, appoggiando la mia caviglia sulle sue ginocchia «Abbiamo già preso il caffè, ma se mi aiuti a slacciare i sandali, li voglio far provare a lei». Resta totalmente interdetto dalla tranquillità con cui gli parlo così come la mia collega resta impietrita, arrossendo leggermente, mentre si gira verso di me, facendomi capire di averla colta di sorpresa… Lui per interminabili istanti non sa che fare… né che dire… poi prende coraggio e inizia a sganciarmi i laccetti dorati sfilandomi la scarpa. Adesso tocca all’altra gamba che finisce sulle sue ginocchia come la prima. Le sue dita ora hanno preso coraggio e ben presto anche la seconda è tolta. Me le faccio passare e le porgo, lasciando le mie gambe appoggiate su di lui. Sta sudando, lo vedo. Non sa che fare, non si aspettava niente di tutto ciò. So di essere bastarda a volte. Forse spesso. Decido l’affondo. «Ti piacciono?» gli chiedo. Il monosillabo che esce dalla sua bocca è sudato al pari della sua fronte. Affondo ancora, sono stronza quando mi ci metto… «Pensi che le stiano bene?» ma non mi curo della sua risposta che so già essere affermativa e mi giro verso di lei che, appoggiata alla fredda e scomoda sedia metallica, sta calzando la mia vanità mattutina. Le stanno bene, ma mi fa uno strano effetto vederle calzate ai suoi piedi, poi si alza barcollando quasi… cammina a stento. Sono troppo alti, non c’è abituata, si muove con molta poca naturalezza… prova a fare qualche passo prima di decidere di desistere. Dopo pochi istanti le scarpe da ginnastica tornano a darle la sicurezza che le è abituale. Libero il collega malcapitato togliendogli le gambe di dosso, ma decido di ricompensarlo in qualche modo, cercando di non nascondere troppo di me, mentre mi chino a rimettermi le scarpe. Sento i suoi occhi su di me che stanno scorrendo le gambe… salgono fino alle cosce lasciate sapientemente in vista mentre riporto i laccetti a cingermi la caviglia. Forse ha visto anche di più. Poi si alza, ci saluta e va via felice… Lo richiamo… «Te lo posso offrire io un caffè per ringraziarti?». Declina con un gesto cortese della mano. Appena si è allontanato la mia collega scoppia a ridere chiedendomi cosa mi sia saltato in mente… Sono istintiva. Sempre. Forse troppo.

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