Chiudi la porta quando esci

Il suo messaggio mi è arrivato improvviso. Letto quasi distrattamente con l’indolenza tipica di certe mattinate in cui ti spalli in ufficio a fare qualcosa che non sopporti. E la sua lettura ha provocato una sferzata di energia che mi ha percorso la schiena come un brivido forte e violento. Una frustata di voglia. E ne ho tanta. A riposo obbligato da due settimane in cui ho coltivato fantasie altrui e ho vissuto, immaginandomele, altrui situazioni. Ma non mi è bastato. Forse alle mie dita bagnate di me, sì; ma a me no. Non più. Stasera avrei fatto follie. Lo so. Lo sanno anche le mie Louboutin che erano pronte a tutto. A tutto. Sarebbe stata una di quelle sere che avrebbero partorito un post caldissimo. Non ho un’idea di cosa avrei fatto esattamente, ma so che sarebbe stato così. Poi il suo messaggio. Carpe diem. Mai un motto fu più calzante per lui. Mi sono confidata con un’amica su cosa avrei potuto fare e su come avrei potuto accoglierlo. Poi ho deciso di lasciar fare al mio istinto. I miei tacchi dodici hanno accompagnato la mia voglia fino alla macchina, facendola partire a razzo verso me stessa, quella me stessa che si sta facendo mille domande da un po’ di tempo a questa parte. Forse un’altra me stessa. Chi lo sa. Forse no.

Persa nei miei pensieri mi ritrovo a casa. Le scarpe buttate alla rinfusa appena varcata la soglia. Il tempo di un paio di messaggi sul cellulare e l’acqua sta già scorrendo sui miei pensieri portandoseli via nel gorgo dell’emozione che mi avvolge. I miei capezzoli turgidi, bagnati dal getto della doccia, evidenziano tutta la mia voglia, il desiderio di darmi piacere che trattengo a stento. Oggi ho lavorato a fatica, pensando a cosa avrei fatto stasera e a mille modi per godermi la serata. L’abbraccio caldo dell’accappatoio mi avvolge in uno degli ultimi momenti di sobrietà. Mi asciugo e corro nuda per casa, fino in camera. Cerco loro. Sì. Le mie Louboutin che decideranno per me come vestirmi o forse… Sì. C’ho pensato tutto il giorno. Lo faccio. Resterò così. Nuda. Totalmente nuda, con solo le Louboutin rosse ai piedi. Mi sto già bagnando al pensiero. Torno in bagno ad asciugarmi i capelli. Il passo sicuro dei miei tacchi dodici mi accompagna a guardare allo specchio l’animale voglioso che è in me. La mia migliore amica, forse l’unica che mi conosce a fondo in ogni mio aspetto più recondito e segreto, mi ha definito un puma. Sì. Lo sono. E vorrei che lei fosse qui a vedermi adesso. A confrontarmi con lei. Ma forse le farei paura con i miei occhi assetati di desiderio. Forse le farei male. Come le ho già fatto male in passato. E me ne sono allontanata per quanto mi è stato possibile, per non farle più male di quanto non gliene abbia fatto. Ma sono un puma. Sì. È vero. E gli artigli spesso mi escono anche solo per gioco. Penso a te, amica mia. Ti chiedo perdono per le volte che ho esagerato con le mie parole. Vorrei davvero che tu fossi qui, a guardarmi. Ad aiutarmi. A prepararmi. Sappiamo entrambe che un giorno ci sarai. Ma gli occhi del puma tornano a scacciare indietro i pensieri per lasciare spazio all’illiceità di emozioni scabrose che mi attraversano la pelle.

Il phon ha terminato il suo lavoro. Inutile. Perché di lì a poco so che sarò madida di sudore. E di desiderio. Mi sfioro i seni, lì davanti allo specchio. Uno spasmo di piacere mi fa sussultare sull’equilibrio dei tacchi. Poi impongo alle mie mani di lasciarmi stare. Mi sento colare. Sì. Muoio dalla voglia. Le mie dita vorrebbero. Io no. E cammino nervosamente. Spengo le luci di casa. Tutte. Avrò solo luci di candele, almeno delle poche rimaste. Il crepitio della fiamma riflette la mia immagine in penombra sui vetri delle finestre. Guardo la donna riflessa che mi fissa negli occhi. Solo metà volto alla luce. Metà totalmente in ombra: paradigma della vita di ognuna di noi. È tutto pronto. Cammino ancora per casa. Nuda. Torno in camera, apro un cassetto e tiro fuori un cravattino sottile, nero, corto che ho usato in passato su una camicetta di pizzo. Mi metterò solo quello. Come mi ha suggerito chi immagino mi stia guardando. E mi eccita pensare di esser vista così. Nello stato in cui mi trovo. Socchiudo la porta di casa lasciandola appena accostata. Mi accovaccio sul tappeto. Seduta, nuda, con le ginocchia piegate su di me. Piano piano lascio andare le gambe lasciandole aperte ai miei pensieri più indicibili. Sono un fiume in piena, mi sento bagnata ovunque. I miei capezzoli mi fanno quasi male da quanto sono turgidi e protesi verso le mie fantasie. Non resisto. Il respiro si fa affannato, ho il cuore che mi batte da morire. Appoggio la schiena al cuscino del divano e mi guardo attorno. Le gambe si allontanano l’una dall’altra. Cerco di immaginare di esser guardata dai due occhi a cui devo molto. E che vorrei davvero fossero qui. Muoio dalla voglia dal pensare di esser vista così in quella posa oscena. Reclino la testa all’indietro cercando l’aria che inizia a mancarmi. Poi i passi sulle scale.

Lo sento. Il cuore mi batte a mille. E poi… poi inizio a pensare che potrebbe non esser lui… e se qualcun altro entrasse e… Non finisco il discorso che la porta si apre. Rimane fermo sulla porta. Bello. Elegante come mai finora. Giacca nera, camicia bianca, pantaloni perfetti. Sì. È davvero un modello. O meglio lo sarebbe sicuramente stato se solo avesse voluto. La luce delle candele illumina il suo volto dai lineamenti forti. «Entra, stupido». Non so perché l’abbia apostrofato così. Mi meraviglio anch’io di ciò che ho detto, ma è troppo tardi e sto al gioco di quella me stessa che ha preso il sopravvento. Chiude la porta dietro di sé. Lo seguo con lo sguardo mentre lascia sul tavolo la bottiglia che ha in mano. Cazzo, se è bello! Penso il più figo che abbia mai conosciuto in vita mia. Anche stavolta eviterò di dirglielo. Penso glielo diranno in tante. Ma io no. Resto nuda, seduta a gambe aperte, come le braccia sui cuscini del divano. Si avvicina per baciarmi. Lo fermo muovendo una gamba piantandogli il mio tacco dodici sul petto. Lo spingo indietro. «No. Stasera si fa a modo mio. Spogliati».

La mia gamba torna giù riposizionandosi ben distante dall’altra e facendo schiudere nuovamente tutto il mio desiderio. Non replica. Indietreggia ed inizia a sfilarsi la giacca. Sta al gioco. Sorride. Lo sguardo pieno di voglia. Come il mio. Mette la giacca alla sedia, si gira e si china a slacciarsi le scarpe. Vorrei affondare le mie mani sul suo sedere, stringerlo a me. Resisto anche se le mie gambe iniziano a muoversi autonomamente, strusciandosi un po’ fra di loro. Si gira di nuovo verso di me. Sorride ancora e si sgancia un bottone della camicia. «Vuoi continuare te?». Non gli rispondo. Ma dal mio volto deformato dalla voglia capisce e continua a sbottonarsi. Pian piano vedo comparire il suo petto, muscoloso al punto giusto. Si tira fuori la camicia dai pantaloni e si slaccia i polsini. Si avvicina ancora. Ancora. Ancora di più. Adesso ce l’ho a pochi centimetri. In piedi davanti a me. So bene cosa vorrebbe. Lo guardo negli occhi e gli faccio cenno di no con la testa. Ma stavolta non indietreggia. Resta lì davanti a me, vicinissimo.

Le sue dita slacciano la cintura, lentamente. Guardo ogni suo gesto come fosse al rallentatore e me lo gusto come se fossero le mie mani a farlo. Poi è la volta del bottone. Inizia a muoversi, lentamente, lì a pochissimi centimetri dal mio viso. Fa sfilare giù i suoi pantaloni lungo le gambe rese muscolose dal duro lavoro. Se li toglie dai piedi. Gli slip sono gonfi del desiderio di me. Lo vedo, stanno per esplodere da quanto è eccitato. E io con lui. Si gira mostrandomi il suo sedere. Come vorrei saltargli addosso… A poco a poco vedo gli slip scendere lentamente, scoprendo le sue natiche da mordere. Stavolta non resisto. Le mie mani sono su di lui. Affondo il mio viso, gli passo una mano fra le gambe, da dietro, prendendo in mano tutta la sua eccitazione. Lo sento durissimo fra le mie dita. Lo stringo, con forza, e a fatica da quanto è duro. Mi eccita da morire. Si gira, di scatto. Mi tira per il cravattino, che si sfila cadendo a terra. La mia bocca è tentata di dare sfogo al mio desiderio. Ma mi lascio guidare dal mio istinto. Mi alzo in piedi. Mi stringo a lui, e lo bacio appassionatamente. A lungo. Uno di quei baci che da soli sono più afrodisiaci di mille situazioni hot.

Lo spingo indietro, contro il muro. La mia bocca inizia a scorrere all’impazzata sul suo corpo, alla mercé della mia lingua che disegna arabeschi di piacere sul suo petto. Stringo con le mani i suoi muscoli. Mi eccita sentire il suo respiro affannato, la sua voglia di me. Il mio cuore non so se resisterà al ritmo a cui lo sento battere. Poi le mie mani sul suo volto, gli accarezzano le guance ruvide, la sua bocca tenta di baciarmele. Le ritraggo e le mie unghie smaltate di rosso e di nero lasciano segni di oscurità e passione sul suo petto. Poi, improvviso, mi prende, mi solleva e mi gira contro il muro. «No!» gli grido, senza sapere nemmeno io il perché. Forse un retaggio istintivo di sensazioni passate. Non so. Ma sto al gioco della me stessa che si è impossessata di me. E fingendomi una mistress (da due soldi, perché è un ruolo che non sento appartenermi) gli do uno schiaffo sulla guancia. «Ho detto che conduco io il gioco». Rimane sorpreso. E sinceramente anch’io in un qualche modo. Ma cerco di non darlo a vedere. Lo rispingo contro il muro baciandolo di nuovo, appassionatamente. Faccio scendere una mano a stringere tutta la sua passione. La inizio a far scorrere lentamente… molto lentamente… Poi lascio la presa e mi allontano, sempre lentamente, mettendomi a sedere nuovamente a terra. Le mie mani adesso scorrono sul mio corpo. Cercano un piacere che sanno bene dove trovare.

«Toccati» gli dico. Vedo la sua mano scendere lentamente e iniziare a muoversi ritmicamente. Si avvicina a me, mentre continua a toccarsi. Sempre più vicino. Le mie dita sono immerse nel mio piacere. Lo sguardo dritto nel suo. Poi scendo a guardare la sua mano. E cosa sta stringendo. Lo fermo. La mia mano bagnata di me adesso si sostituisce alla sua. La mia bocca regala momenti di caldo sapore alla sua eccitazione, mentre il rossetto delle mie labbra sarà presto sbavato dalla forza con cui lo spingerà contro la mia lingua. Lo lascio fare, porto le sue mani sulle natiche, stringendole con quella forza che avrei già voluto usare prima. Poi lo rispingo indietro. Mi alzo, gli passo attorno e mi avvicino al tavolo, piegandomi in avanti e mostrandomi aperta e pronta a riceverlo. Lo sento avvicinarsi. Chiudo gli occhi per gustarmi il piacere intenso. Lo sento premere ed entrare a fondo, improvviso, scivolando nella mia voglia. Ho un sussulto che fa tremare il tavolo. I miei seni ballano ad ogni sua spinta. Forte. Decisa. Gemo di piacere. Senza trattenermi come ho fatto altre volte a casa. Che mi sentano pure. Voglio pensare solo a me. E sto godendo come desideravo da molto tempo. Lo sento dentro di me. Riempirmi.

Mi eccita da morire sentirlo e sentirmi. I nostri gemiti mischiati ai nostri respiri. Afrodisiaco come poche altre cose. Cambia ritmo ogni tanto facendo aumentare la mia voglia, se mai possa esser possibile eccedere oltre quella che già provo. Mi penetra a lungo. Ci sa fare. Il piacere arriva violento e improvviso, quasi gridato. Ma non faccio in tempo a godermelo che lo sento ancora spingere dentro di me, provocandomi un altro culmine quasi continuo. Glielo sento sfilare, improvviso. Mi giro velocemente e mi inginocchio davanti a lui. Non faccio in tempo a far niente che mi ritrovo in bocca il sapore della mia eccitazione. Mi prende la testa e me la spinge a fondo muovendo il bacino. I miei capelli stretti fra le sue dita. Lo spingo indietro un attimo, lo guardo negli occhi. «Sai, non siamo soli. C’è una mia amica, lì nella penombra che ci sta guardando». Non è propriamente vero, ma mi eccita pensare che potrebbe davvero essere lì a guardarci. E stasera è come se ci fosse stata davvero. Si eccita visibilmente, riprendendomi a spingerlo dentro la mia bocca, prima di tirarlo fuori al momento giusto per ritrovarmi con il mio viso totalmente grondante del suo piacere. Lo guardo dritto negli occhi mentre mi lecco le dita sporche di lui e mentre mi spalmo sui seni ciò che mi cola dalla faccia. È sfinito. Lo guardo eccitato, rilassarsi lentamente. Si siede sul divano. Io davanti a lui, ancora inginocchiata a spalmarmi della sua eccitazione. Ho ancora voglia, sentirmi i seni impastati di lui mi fa impazzire. Non posso toccarmi, con le dita in quelle condizioni. Lo faccio sdraiare sul tappeto. Mi alzo, gli cammino attorno. Lui mi guarda con aria interrogativa. Poi lo scavalco con le gambe e mi accovaccio vicino al suo viso. «Leccami». La sua lingua non si fa pregare e la sento scorrere sapiente e vogliosa sul mio desiderio. Poche passate e mi trovo a contorcermi di nuovo dal piacere, mentre mi lecco le dita ancora piene del suo sapore. Mi sdraio sfinita accanto a lui. Non ci diciamo niente. Ce lo siamo già detti con i nostri corpi. Il tempo di far tornare il respiro ad una normalità più consona. Mi alzo in piedi. «Vado a fare la doccia. Chiudi la porta quando esci.»

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