…e ora divertiamoci! (I parte)

Ho ancora le Louboutin addosso. Me le sono tolte solo per fare la doccia e per la pedicure. Ho scelto uno smalto scuro, per contrastare col rosso particolarissimo delle mie scarpe nuove. Mi eccitano. Sono ancora bagnata dal pensare al desiderio e allo sguardo sconosciuto di chi me le ha regalate: pur non conoscendomi, almeno di persona, è come se ci frequentassimo da una vita. È uno dei pochi che sa leggere dentro di me e, forse, io dentro di lui. Il pavimento della mia casa ha già preso confidenza con la suola rossa come la passione che sento dentro di me. Stasera mi sento troia. Fra poco passerà la mia collega, avrei voglia di toccarmi di nuovo, ma non c’è tempo. Pulisco lo specchio con un asciugamano per poter vedere l’immagine appannata di me mentre raccolgo all’indietro i capelli. È da tanto che non lo facevo, come tante altre cose. Il trucco stavolta è un po’ più pesante del solito. Corro in camera. Sono ancora nuda, ma con ai piedi le mie scarpe nuove. Mi capita spesso di farlo. Mi eccita. Il cassetto dell’intimo apre davanti a me una scelta difficile. Scorro con lo sguardo velocemente a cercare il perizoma più ridotto che abbia. Nero, trasparente davanti, con elastici e filo quasi inesistente. Le mie Louboutin lo fanno passare lentamente, velandole per un attimo, prima di vederlo salire lungo le mie gambe. Me lo sento già bagnato, tanta e tale è la voglia in questo momento. Niente reggiseno. Non lo porto da tempo, salvo qualche eccezione legata all’eccesso di trasparenza delle camicette. Ma stasera niente. Non faccio in tempo a scegliere il vestito che suona il campanello. La mia collega, la ragazza della reception, con cui condividerò la (pallosissima) serata è già arrivata. Troppo presto. O forse sono in ritardo io. Vado ad aprire la porta così come sono e la faccio accomodare. Noto sul suo volto un leggero imbarazzo nel trovarmi praticamente nuda, ma faccio qualche battuta di circostanza per farla sentire più a suo agio. Rimane ammaliata dalle scarpe chiedendomi su come e chi me le abbia regalate. Rimango un po’ interdetta, quasi infastidita dal fatto che dia per scontato che non me le sia comprate… Ma in fondo mi conosce bene e sa che non avrei mai speso una fortuna. Le dico che sono il dono di un amico. Dalla sua faccia interrogativa capisco che si aspetti di avere maggiori informazioni che mi guardo bene dal fornire. Corro in camera mentre lei mi segue a passo più lento. La scelta l’avevo già fatta mentalmente da tempo: miniabito nero, molto corto, legato al collo con schiena nuda. La chiamo per chiedere un parere e la sento allontanarsi a malincuore dalle sue indagini sulla scatola vuota delle scarpe lasciata sul tavolo, tradita dal rumore della carta che le proteggeva. Arriva con un sorriso più grande di lei dicendomi che la dovrò aggiornare su molte cose… Ci mettiamo davanti allo specchio a farci complimenti a vicenda. Anche lei è elegantissima e sensuale. Sandali neri tacco 7 (quasi una conquista per lei, ma la vedo molto a suo agio), miniabito nero con top di pizzo e reggiseno nero sotto, immagino coordinato con le mutandine. Un ultimo sguardo alla schiena e mi allontano aggiustandomi i lacci dietro al collo. Sistemo le cose nella borsa e usciamo, sperando di sopravvivere alla noia che si intravede già all’orizzonte.

Guida lei, sicura di sé. Come sul lavoro e in molte altre occasioni. Le chiedo del suo ragazzo ma sembra non gradire l’argomento. Accavallo le gambe mentre viaggiamo e ne approfitta per cambiare discorso e chiedermi chi me le abbia regalate. «Non ti merita». Taglio corto gelando per un attimo l’atmosfera dell’abitacolo. Il silenzio che segue mi conferma che ho colpito nel segno. Sul suo volto una smorfia di disappunto non tanto per le mie parole, quanto per la sua situazione. «Lo so. L’ho mollato». Non replico, è giusto così. Lasciando l’unico commento ad un sottile sorriso mentre guardo fuori. Non voglio entrare in cose che la riguardano in modo così intimo. Se vorrà parlarne sarà lei a farlo. Ricambio la sincerità: «ho fatto la troia». Rimane sorpresa e a bocca aperta. Proseguo per non far cadere la mia reputazione. «Non nel senso che pensi te. Ma in fondo mi sento di aver fatto la troia. Me le ha regalate un amico che non conosco». Resto vaga sui dettagli, adducendo un nebbioso «conosciuto tempo fa su internet, ma non l’ho mai incontrato», anticipando la sua sicura domanda. Sembra non capire troppo. Ma vengo salvata da ulteriori domande da un coglione col suv che ci taglia la strada, quasi mandandoci fuori. Il coro di insulti ripetuti ad una intensità che va di pari passo con i battiti cardiaci, ci accompagna nel breve tragitto fino all’ingresso della faraonica villa sulle meravigliose colline di Fiesole. Abbiamo una delle poche utilitarie in mezzo ad una marea di macchine di lusso e ci fa un po’ ridere il fatto di dover lasciare le chiavi della macchina ad un ragazzo che è abituato a parcheggiare ben altri mezzi. Gli sorrido prima di vederlo ricevere le chiami dalla mia collega. Il breve tragitto sulla ghiaia per arrivare al party in giardino mette a dura prova l’equilibrio di entrambe. Poi ci buttiamo nella bolgia di ipocrite relazioni sociali con persone che quasi non conosciamo. «Che scarpe meravigliose!» mi sento dire da una ignota voce femminile, acidula e falsamente adulante. Scambiamo due parole, presentandoci inutilmente. Passa un anonimo cameriere ad offrirci un prosecco e qualche stuzzichino (pardon… finger food! Come usa dire adesso). Non passo inosservata, lo so. Incontro colleghi che mi salutano con un calore pari alla loro ipocrisia. Molti non sapranno nemmeno chi sia o come mi chiami. Magari mi vorrebbero portare a letto e, sinceramente, qualcuno di loro meriterebbe anche. Almeno finché non apre bocca. È questo il problema degli uomini. No. Pardon. Di molti uomini. Non di tutti. Molti non sanno andare al di là dei loro bisogni fisici e istintivi. Non hanno idea di come creare un rapporto, di come relazionarsi.

Vengo trafitta da sguardi di pura rivalità femminile, farcita forse di invidia, di colleghe vipere «Che belle le tue scarpe, sono della collezione della scorsa stagione?». Mi mordo il labbro per non risponderle in modo volgare, poi scelgo l’ironia. «No, forse ti sbagli col catalogo che hai consultato per scegliere le tue. Sono nuove e comprate a prezzo pieno. Vuoi vedere lo scontrino?». Va via indispettita. Ho bluffato, ma ha funzionato: ho solo lo scontrino di cortesia, come si usa per i regali. La mia collega se la ride accanto a me. Poi torna all’attacco: «dai, raccontami di chi te le ha regalate». Camminiamo nel prato, sorseggiando un prosecco particolarmente aspro che finirà a rinfrescare la siepe perfettamente curata da mani esperte e, sicuramente, ben pagate. «Se ti dicessi che non l’ho mai incontrato ci credi?». Il suo sguardo tradisce una certa diffidenza verso la mia affermazione. Le racconto delle avances, di come ci raccontiamo tante cose delle nostre vite, intime e non. «Mi ha offerto questo regalo ed ho accettato come una troia qualsiasi. E forse lo sono davvero». Ci avviciniamo ad un gruppo di colleghi che ci guardano con una particolare assiduità. Scambiamo due parole con loro, ma i loro pensieri sono ben altri al pari dei loro sguardi che vanno a giro per i nostri corpi, analizzandoci quasi come un body scanner. La mano di uno di loro finisce sulla mia schiena nuda. Provo fastidio per il contatto non richiesto e del tutto gratuito. Lascio fare. Anzi no. «Di solito mi faccio pagare per essere toccata» gli dico guardandolo negli occhi davanti agli altri. Lascio interdetti i pochi presenti e noto un certo rossore sul volto della mia collega che mi guarda senza dire niente. «Non è questo che pensate di me? Non sono la troia che tutti vi vorreste scopare?». Non si aspettavano un attacco violento. Qualche sorriso di circostanza. Poi lo guardo dritto negli occhi prendo il bicchiere dalle sue mani macchiandolo del mio rossetto e libero tutti dall’imbarazzo: «stavo scherzando». Ho esagerato. Lo so. Ma stasera mi sento più troia del solito. Ci congediamo dando loro la possibilità di guardarci il sedere mentre ci allontaniamo. Prendiamo da bere ancora. Poco più in là vedo il collega più intraprendente, quello che è arrivato a fare cose che altri si sono solo immaginate. Sono stronza. Mi dirigo verso di lui, la mia collega si sofferma un attimo prima di seguirmi. Lo saluto calorosamente senza ricevere troppo calore in cambio, in virtù del fatto che è accompagnato dalla sua signora. Mi presento alla famiglia stringendo la mano a moglie e figli grandi. Mi sono già divertita abbastanza nel vedere la sua faccia mentre mi avvicinavo. Non voglio certo rovinare nessuno. Mangiamo qualcosa al buffet prima di metterci a sedere su una panchina a chiacchierare. «Prima mi hai fatto morire» confessa quasi bisbigliando la mia collega. «Gioca d’attacco. Sempre. E guida la tua vita. Sempre. Non lasciare che quattro idioti decidano per te e ti classifichino nei loro stereotipi adolescenziali». Sorride, divertita mentre un affascinantissimo cameriere ci offre di nuovo da bere. Lo guardo dritto negli occhi, ricambiata. Lo ringrazio in silenzio guardandolo andare via. Chiedo alla mia collega cosa ne possa pensare, ricevendo in risposta un sorriso ed uno sguardo eloquente. «Hai qualcun’altro?». La domanda a bruciapelo le fa quasi andare di traverso il sorso che bagnava le sue labbra. La risposta è monosillabica e, forse, non troppo sincera. «Era un idiota. L’ho visto alla festa per il tuo compleanno. Non ti merita. E non voglio più parlare di lui. Lasciati andare. Divertiti. Godi la vita». Sorride un po’ imbarazzata. Non deve essere troppo abituata a parlare dei suoi sentimenti o, forse, di sé. Ci avviciniamo al buffet a riempire il piatto di gesti di circostanza e di sorrisi ipocriti. Qualche collega fa battute idiote a cui anche la mia collega fa fatica a sorridere. Io mi limito a fulminarli con gli occhi.

«Mi accompagni? Devo fare una cosa». Mi guarda incuriosita, poi mi segue verso la casa senza chiedere altro. Entriamo in bagno, lussuoso e, manco a dirlo, pulitissimo. MI avvicino al lavandino per rinfrescarmi un attimo. «Ti senti bene? Cosa devi fare?». Sorrido e lì nell’antibagno, incurante di chi possa entrare mi alzo il vestito, scoprendo il perizoma. «Questo». Me lo sfilo lasciandolo cadere sulle mie Louboutin rosse, prima di chinare a raccoglierlo risistemando il vestito. Mi guarda sorpresa. «Niente elastici stasera. Fallo anche tu. Dai…» Mi guarda un po’ imbarazzata, poi si guarda intorno e vedo salire anche il suo vestito e senza scoprirle del tutto fa scivolare le sue mutandine. Ci mettiamo a ridere. «Lo fai spesso?» mi chiede maliziosamente. «No, ma a volte mi eccita farlo. Come adesso. E te?». Mi confessa che è la prima volta. Bene. Ora andiamo a divertirci.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.