La regola aurea

Sono una stronza. Molti di coloro che mi leggono hanno avuto modo di appurarlo. Acida, bastarda, insopportabile, odiosa, saccente, testarda, pallosa, pedante, rompicoglioni. Ho un carattere di merda. Lo so. Sono istintiva e animalesca, l’ho scritto più volte. E lo sono in tutto. Ma sono me stessa. Sempre. Anche quando non è facile mantenere l’autocontrollo per decisioni prese. Anche quando mi lascio andare ai miei istinti più triviali. Ma allo stesso tempo non mi piace sentirmi braccata e messa all’angolo. Reagisco. A volte in modo scomposto come farebbe un animale di fronte ad un suo pari. Non sono semplice da reggere, da sopportare e da gestire, ammesso che lo si possa fare. Ho sempre inseguito la mia indipendenza e quando ho iniziato a scrivere questo cavolo di blog mi sono data delle regole auree da rispettare. In questi giorni hanno vacillato. Come non mai. Come non mi accadeva da tempo. Alcune regole si sono frantumate sotto i colpi debordanti del mio ego, della mia avidità e delle mie debolezze. Hanno resistito quelle più importanti. Quelle che mi sono imposta dall’inizio, negando la mia stessa natura esibizionista. Ho scelto di non incontrare nessuno e di farmi «vedere» solo attraverso le mie parole, esclusivamente tramite ciò che scrivo raccontando qualche aneddoto di maliziosa vita quotidiana. Sono anacronistica, lo so, nel tempo in cui galleggiamo nella società dell’immagine, dell’apparire, dell’esteriorità, della tracotante voglia di mettersi in mostra sempre e comunque, ho deciso di farmi vedere solo attraverso le parole. Ma nonostante tutti i miei propositi mi sono concessa il lusso di cedere a qualcosa. Non potevo fare diversamente o almeno questo è l’alibi con cui ho giustificato la mia vanità. Con molti ho chattato, con qualcuno ho parlato, con altri ho accettato regali anche importanti senza dare alcunché in cambio, se non la mia anima. E poi capita di pensare di trovarmi sola, da un momento all’altro, magari dopo aver letto una dozzina di parole nello specchio della mia anima, perfetta replica di anime altrui e lontane. Parole che spiazzano e dette o lette nella cacofonica cacografia di tante persone che mi vorrebbero, che vorrebbero il mio corpo, che fanno fantasie su di me, che mi regalerebbero il mondo o che farebbero carte false anche solo per un semplice saluto. E capita di ritrovarmi una sera a piangere, da sola, chiusa nei propri pensieri, a meditare su se e quanto sia giusto darmi dei limiti e, soprattutto, rispettarli. Se sia corretto o meno portare avanti un blog in cui trascrivere la mia anima, il mio essere quotidiano di esibizionista che vive la contraddizione della trasfigurazione in parole impalpabili e invisibili. E capita di passare una notte ad arrovellarmi il cervello sul «se», sul «perché», sul «forse», sul «ma», sull’«e se…», sul «meglio che…» o sul «mai». E di chiedersi se sia giusto o meno continuare, se non faccia del male a qualcuno, se non crei aspettative che vanno deluse o se non deluda davvero chi mi vuole bene o, ancor di più, me stessa. E poi ti capita di trattenere il fiato per ore in attesa di un’altra inaspettata dozzina di parole che magari fugano qualche dubbio pur ponendoti altri problemi, ma stavolta da affrontare col sorriso sulle labbra. Anche se quelle stesse labbra hanno il sapore salato di linee imperfette che solcano il viso della tua anima. Grazie a chi mi sopporta, a chi mi vuol bene, a chi mi legge, a chi mi critica e a chi sa leggere fra le righe di questo post.

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