La solitudine di un primo.

Fuggono in molti da me. Molti non hanno il coraggio di tenere lo sguardo. Come ho già scritto altre volte, basta fissarli dritti negli occhi, anche senza dir niente. Pochi istanti prima che i loro sguardi fuggano altrove, ben lontano da me e dai loro desideri che reprimono in fantasie da tirare fuori al momento opportuno. Per quei «molti» le donne devono essere oggetti di cui fare un uso proprio o improprio, per soddisfare il loro bisogno di possessione. Nessuno pensa che possano essere semplicemente altre persone con cui confrontarsi, con cui avere un dialogo alla pari, con cui condividere le proprie fantasie in totale libertà e, perché no, magari crearne di nuove. Sfuggono alla loro ipocrita vita di mariti e padri integerrimi, salvo poi rifugiarsi in onanistiche fantasie in porno virtuali in cui riflettere la loro pochezza di persone prive di midollo nel dialogare col sesso opposto. Molto meglio gioire nella visione di un video amatoriale, magari falso, in cui immedesimare la fantasia di turno della vicina, della compagna, della collega, della parente, della sconosciuta piuttosto che provare a parlare liberamente o a farsi avanti proprio con quelle stesse persone su cui si fanno fantasie.
Oggi ne ho avuto la dimostrazione lampante. Se avessi contato gli sguardi fuggevoli nel doppio percorso dall’ufficio al bar, probabilmente sarei arrivata quasi alla tripla cifra. Sguardi interessanti, a volte intriganti, a volte timidi, a volte rossi di livore, altre volte pieni di tenerezza o di palese desiderio. Nessun appartenente alle tre cifre di cui prima che si sia fatto avanti, che abbia osato accennare una parola, un sorriso, un approccio, nemmeno volgare come a volte, purtroppo, capita. Tutti a limitarsi a sguardi fuggevoli, furtivi, sulle mie gambe, sulla mia mini scozzese, sui miei tacchi o sulle trasparenze della mia camicetta. Hanno paura. Di me? No. Penso più dell’idea che «una come me» possa essere aggressiva, possa intaccare la loro monolitica mascolinità. Non piace l’idea di mettersi in gioco. Sempre e comunque. Perché giocando si vince, ma si può anche perdere. Ma è questo il bello del mettersi alla prova. Io stessa non ho sempre ottenuto ciò che volevo, ma il bello è provarci, cercare di fare il possibile per arrivarci.
Quei «molti» che ho incontrato adesso magari saranno a soddisfare i loro bisogni onanistici davanti a schermi lcd artificiosamente ansimanti in cui ritrovare tutta la loro forza e in cui mettere alla prova il loro invincibile testosterone. Oppure staranno comprando la loro ipocrisia regalando qualche banconota a qualche indicibile fantasia a bordo di una strada. Basta non mettersi alla prova. Basta non cercare di essere se stessi. Molto più facile comprare le proprie fantasie o cercarle in un motore di ricerca piuttosto che affrontare una che ti guarda dritto negli occhi e che magari possa anche dirti di no. Perché quel no non lo vivono come un’occasione in cui provare e che magari la prossima volta potrebbe essere un sì… Lo vivono come un impensabile affronto alla pochezza del loro ego maschile o all’ipocrisia di una vita falsamente normale. Non è un problema ricevere un no. Il problema è il non provarci nemmeno. Il problema è limitarsi a guardare da lontano, parlottare, magari sparlare, giudicare, senza nemmeno provare a conoscere.
Anche io non ho sempre ricevuto dei sì. Sono stata anche respinta, nella mia vita. In vari modi più o meno plausibili. Ma almeno ho avuto la forza di provarci. Di mettermi in gioco. E, parafrasando Karl Popper, i no ricevuti hanno lastricato la strada per arrivare ai sì. Bellissimi e incontrovertibili perché voluti, cercati e ottenuti. Mettetevi in gioco per la miseria! Provate a parlare con chi vi sta accanto! Con chi incrociate per strada! Salutate almeno… Sorridete, non sfuggite allo sguardo. Oggi in tutto il tragitto ufficio – bar e bar – ufficio, l’unico che mi ha parlato è stato il nuovo barista: «Linguine al pesto, oggi. Va bene?». «Sì». Fine del dialogo. Pranzo consumato velocemente in completa solitudine ad un tavolo da cui tutti si sono tenuti ben alla larga. Troppo impegnati nel guardarmi, nel parlare fra loro, magari sparlare dei miei tacchi o delle mie gambe quasi totalmente in vista. In una solitudine comunicativa disarmante. Togliete lo sguardo da quei (*bip*) di cellulari… Guardatevi attorno… sorridete e incontrate le persone. E` inutile dare amicizia su facebook se poi non sapete guardare negli occhi chi vi sta attorno.

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