Marchiata

Città più numero. Niente di più anonimo. Eppure non so perché quella combinazione mi è sembrata familiare non appena l’ho sentita pronunciare dall’acerba voce del portiere del mio hotel. Cinque minuti di attesa fra anonimi sguardi in arrivo e partenza incastrati nelle porte girevoli della vita. Poi l’ennesimo taxi si sofferma e lì ho capito perché mi era rimasta in mente quella combinazione. Raramente mi ricordo le facce anonime, simpatiche e professionali dei tassisti che mi accompagnano ogni giorno verso asettici incontri lavorativi in una città non mia. Ma non stavolta. Si erano già incrociate le nostre strade.

Entro e le mie labbra gli dicono una destinazione, sicuramente non rispondente a dove vorrebbe arrivare la mia fantasia, sicuramente ben lontana da dove vorrei andare. E di nuovo quegli occhi dallo specchietto retrovisore. Quegli occhi di ghiaccio che mi sapevano perlustrare dentro, nei più reconditi anfratti della mia sensualità. Proprio quegli occhi che mi hanno fatto sognare ed eccitare per ripetute fantasie nei miei momenti di intimità personale. E adesso sono di nuovo lì, specchiati nella mia anima. Probabilmente siamo entrambi protesi verso una meta che non ci appartiene e, forse, non ci apparterrà mai. Non ha aperto bocca per tutto il viaggio. Insolito per un tassista. Ma gli occhi hanno parlato per lui. E i miei hanno risposto.

Moro, giovane, sufficientemente abbronzato da risultare vagamente figo. Camicia con maniche arrotolate che lasciano intravedere una cura del corpo non scontata. Ma con uno sguardo che vale più di ogni altra cosa. Uno di quegli sguardi che ho incontrato raramente in vita mia. «Sono dodici euro e cinquanta». Troppo breve il tragitto! Avrei voluto dirgli di continuare a girare per la città, prigioniera delle mie voglie libidinose, ma devo uscire da questo loop di fantasie che mi hanno pervasa in tutta la mia intimità. «Pago con carta». Rispondo in modo stentatamente asettico. In realtà penso che così avrà modo di vedere il mio nome. Mi rendo conto solo dopo averlo pensato che si addiceva più al pensiero di una ragazzina disarmata che al mio. Ma forse lo sono davvero al cospetto di quello sguardo.

Basta! Devo gestire io il gioco. Riprendo la carta. Esco senza salutarlo. Ma prima che riesca a partire apro lo sportello accanto a lui e mi siedo di nuovo. «Va dove vuoi». Accavallo le gambe quel che basta per far salire il vestitino a fargli capire che potrebbe andare ben oltre. Il tacco dodici resta sospeso a mezz’aria a poca distanza dalla mano appoggiata sul cambio. Parte, sorridendo e scuotendo la testa. «Sempre così di poche parole?» gli chiedo con una voce più maliziosa del solito e venata dalla mia eccitazione. «Solitamente no». Pochi minuti dopo la mia bocca sta soddisfacendo la propria voglia nella penombra di un parcheggio sotterraneo semi-deserto. Le sue mani, forti, fra i capelli seguono il ritmo lento della mia testa, cercando di spingermi ad accogliere tutta la sua eccitazione. Le sue mani si bagnano di me. Esplode, improvviso e copioso. Un ultimo schizzo finisce sul vestito. Oggi resterà così. Andrò a giro con il marchio della mia smisurata passione.

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