Sguardi timidi

Il fresco mattutino mi fa affrettare il passo per arrivare alla macchina in cui mi siedo di corsa… un’ultima aggiustatina ai vestiti prima che vengano spiegazzati trasversalmente dalla cintura. La spia gialla mi obbliga ad un pit stop forzato che avrei evitato volentieri. Non avrei voglia di scendere, ma devo cedere alle mie necessità di risparmio che mi costringeranno a far sparire un paio di banconote nel self service. Il benzinaio si offre di aiutarmi, accetto volentieri con un sorriso riaccomodandomi in auto. Dallo specchietto lo vedo sporgersi per osservarmi meglio, mi sposto sul sedile quel tanto che basta dal fargli vedere la balza delle autoreggenti. Con la coda dell’occhio lo vedo sporgersi ancora di più prima di esser costretto ad estrarre l’erogatore dal serbatoio. Quando viene a restituirmi la chiave il suo sguardo è altrove, sulle mie gambe… Prende tempo con qualche scusa per potermi osservare quei pochi istanti in più… Gli sorrido ringraziandolo. Farfuglia qualcosa che non capisco per il rumore del traffico, prima di andar via percepisco un colorito apprezzamento sul mio look. Sorrido ancora, compiacente, e parto verso l’ufficio. Penso ancora a quello sguardo su di me al pari di quelli dei colleghi che mi vedono arrivare a piedi dal parcheggio. Parlottano fra di loro ridacchiando solidali… So che (s)parlano di me… Da una parte mi piacerebbe sapere cosa dicono, dall’altra non mi interessa… Saluto le ragazze della reception arrivando quasi trafelata a passare il badge. Nella breve corsa la mini è un po’ salita proprio al limite delle autoreggenti… decido di lasciarla così prima di iniziare a salire le scale. Sì. Lo so. Avrei potuto prendere l’ascensore, come quasi tutti i giorni. Ma oggi no. Voglio regalare qualche fantasia a chi mi osserverà salire gradino dopo gradino, a chi scruterà con occhio attento i movimenti delle mie gambe. E voglio regalare anche a me qualche momento di piacere nell’immaginarmi di essere osservata. Mi tolgo il cappotto mentre salgo, facendolo penzolare su un mio braccio. Mi specchio nelle vetrate per aggiustarmi i capelli con un rapido gesto prima di aprire la porta dell’ufficio. Mi siedo dopo aver messo la borsa sulla cassettiera. La gonna sale quel tanto che basta dal farmi sentire il tessuto a diretto contatto della mia pelle. Come altre volte… Mi aggiusto ancora, prima di accavallare istintivamente le gambe. Leggo i messaggi di posta elettronica prima di essere interrotta da un inusualissimo rumore di dita che bussano alla porta. In genere sono abituata a colleghi che entrano senza troppi riguardi. Fin troppo. Mi alzo per avvicinarmi incuriosita quando vedo aprirsi lentamente la porta. Entra un ragazzo giovane che dovrà fare manutenzione alla fotocopiatrice. Lo faccio accomodare presentandomi dandogli la mano. La sua stretta è debole e insicura. È timido quel tanto che basta per farmi decidere di giocare un po’ con lui. Lo so. A volte sono stronza… ma seguo il mio istinto. Come sempre. La mia pelle troverà di nuovo contatto sul tessuto della sedia, ma le mie gambe stavolta non finiranno sotto la scrivania, resteranno in vista, accavallate… In un flebile riflesso del monitor vedo che mi guarda. Muovo la gamba accavallata. So che le mie autoreggenti sono in vista, percepisco il fresco sulla pelle lasciata scoperta dalla mini che si è spostata. Lo vedo chinato per staccare la corrente e non posso che alzarmi in piedi avvicinandomi alla cassettiera con la scusa di prendere qualcosa in borsa. Adesso è lì a terra. Il suo imbarazzo mi fa capire che i suoi occhi hanno soddisfatto la sua curiosità di guardare tutto ciò che non ho certo nascosto. Cammino per la stanza, aggiustandomi nuovamente la mini per farla tornare a coprire quanto basta le mie cosce. Sì. Mi eccita farmi guardare al pari di creare situazioni in cui possa essere osservata nella mia intimità. Sono bagnata così come lo ero a casa prima di partire. I miei tacchi dodici mi riportano vicino a lui che nel frattempo è in piedi a digitare strani codici sul tastierino touch. Cerco di parlargli un po’, ma le poche parole quasi toscane che escono dalla sua bocca sono velate di una timidezza e ritrosia che mi fa desistere da ulteriori azioni che sarebbero decisamente forzate. Torno a sedermi, lasciando un po’ in vista le gambe… Lo sento armeggiare alle mie spalle, mi giro di nuovo verso di lui, poi mi alzo e cammino per la stanza. Mi piace pensare di essere osservata e seguita in ogni mio movimento. Lo vedo raccogliere le sue cose e porgermi il rapporto di intervento per la firma. Decido un affondo. Gli restituisco il foglio firmato ma solo dopo averci attaccato un post-it adesivo con il mio numero di cellulare. Lo guardo negli occhi dicendogli di chiamarmi, se vuole. Non riesce a replicare e mi saluta con un mezzo sorriso prima di sparire da quella stessa porta che vedrà entrare al suo posto qualche altro anonimo portatore di sguardi.

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