Strane posizioni

Mi lascio cadere sulla sedia… Ancora in mano il cellulare, ne accendo il display, nervosamente, quasi a voler vedere se mi fossi persa chiamate che so già mai ricevute… Lo metto lì accanto la tastiera… Ho caldo… la corsa di prima mi ha fatto sudare… non ho il tempo di andare a rinfrescarmi un po’.. devo rispondere all’e-mail che avevo tralasciato prima della pausa pranzo… Scrivo quasi automaticamente, il pensiero è ad altro… Accavallo le gambe nervosamente sotto la scrivania facendo involontariamente salire l’abitino scoprendo quasi interamente le cosce, o per lo meno quel tanto che basta da far ingegnare il mio collega accanto a cercar scuse assurde per assumere posizioni che gli facilitino la visuale. Me ne accorgo e sto al gioco… facendo finta di niente… e così… succede che le sue penne cadano in terra, o che debba raccogliere qualcosa dal cestino imprecando contro chissà chi o chissà cosa che gli ha fatto sparire il niente più assoluto. Un po’ come quello che ha dentro di sé. È una di quelle persone che non sarebbe neanche male, ma che non appena hai la sventura di approfondirne la conoscenza ti decade pesantemente e non vedi l’ora di levartelo di torno. Probabilmente il mio nuovo look ha risvegliato in lui un po’ di quel voyeurismo giovanile che credeva sopito. Lo vedo con la coda dell’occhio contorcersi sulla sedia, convinto di non esser notato per guardarmi meglio le gambe… sto al gioco, restando a sedere mi piego alla mia destra, allungandomi per prendere dei fogli dalla stampante laser, sollevando un minimo le gambe e lasciando intravedere qualcosa in più di quanto avesse visto finora. Mi piace pensare agli occhi di altri su di me… Sì, mi piace. Molto. Pero a volte ho quella punta di perfidia che mi fa divertire… e decido di passare al contropiede… Cerco di mostrarmi ancora… un minimo… Non lo vedo, ma percepisco comunque il suo sguardo su di me… Mi giro e spostando la sedia, mi avvicino alla sua scrivania… I suoi occhi inizialmente dritti sulle mie cosce, hanno cercato rifugio altrove chiedendo asilo politico. Accordato. Almeno per ora. Mi avvicino con passo deciso alla sua scrivania, mi metto accanto alla sua poltrona, gambe leggermente divaricate e ben piantate sui miei sandali tacco 12. Con nonchalance mi piego un po’ verso di lui, porgendogli la stampa dei dati che avevo elaborato e chiedendogli un parere. I suoi occhi non ce la fanno più ed evadono dal sicuro rifugio appena trovato tornando sulle mie cosce che lui ha adesso lì a pochi centimetri… non sto nemmeno a sentire cosa mi dice riguardo ai dati… decido di dargli un po’ di respiro e con una scusa me ne torno alla mia scrivania, lentamente, camminando con la lenta cadenza dei tacchi premuti sul pavimento. Mi siedo, girandomi verso di lui e accavallando le gambe… «Che ne pensi?» gli chiedo, perfida… e lui dopo un attimo di smarrimento inizia a parlarmi delle sue teorie sui dati che gli ho appena stampato… cerco di fermarlo, ma continua il suo sproloquio… poi vedendomi far gesti con le mani capisce che non è il caso di continuare… mi guarda con aria interrogativa… ed io ancora più perfida… «Ah, ma te stai parlando dei dati?». Rimane ammutolito, con un vago rossore in faccia. Forse adesso il suo indice di produttività pomeridiana sale. E forse non solo quello.

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