Ho voglia. Tanta. Di sesso, fine a se stesso, senza alcun legame, per la gioia stessa di provare emozioni, sensazioni, trasgressione, piacere. Già! Piacere. Proprio quel piacere che ci neghiamo ogni giorno donando le nostre vite a scomode posizioni sociali e professionali in cui inseguiamo un vacuo obiettivo perdendo di fondo il sottile piacere della gioia quotidiana della propria sensualità, del proprio piacere. Sono edonista? Che male c’è. Mi piace vivere. Libera. Sono uno spirito libero. Lo sono sempre stata. È difficile vivere con me, al mio fianco. Perché non mi faccio scrupoli, non mi imprigiono in sovrastrutture sociali che mi costringano a vivere categorizzata in rigide simmetrie gerarchiche, in cui ad ogni buon esempio c’è sempre la sua nemesi. Ecco. Io sono sia il buon esempio sia la nemesi, entrambe le cose messe assieme. E sono anche lì in mezzo, perché non appartengo. A nessuno. Nemmeno a me. Vivo. E voglio vivere il più serenamente possibile, inseguire le mie pulsioni e perseguire le mie passioni, qualunque esse siano, lecite o meno in base a ciò che viene dettato dalla società, dal buon pensiero, dalla morale comune. Sono una troia? Sì. Per molti. Ma è un problema loro. Mi additino pure al pubblico ludibrio, mi marchino pure con un segno rosso sulla porta di casa come gli appestati nel medioevo, mi insultino pure per ciò che sono, per ciò che penso, per ciò in cui credo. Sono pericolosa. Sì. Lo so. Lo sono per tutti coloro che vogliono rimanere nelle righe delle loro vite piatte e conformiste. Per quelli che ritengono inconcepibile non cercare un legame. Per quelli che ritengono disdicevole che una «sì gentil donzella» salti da un partner ad un altro senza soluzione di continuità alcuna per il semplice quanto naturale e sacrosanto diritto al provare piacere. Quel piacere storicamente a lungo negato da maschi dal comportamento apocrifo e misogino.
Sono un animale. Lo dico spessissimo nei miei post e lo ripeterò all’inverosimile perché dobbiamo rendercene conto tutti che lo siamo. Che non siamo nati per essere marchiati da un timbro di convenzioni sociali che ti categorizzino in bene e male. Io sono il bene e il male assieme. Ho sempre seguito il mio istinto fino a pagarne le più estreme conseguenze che non vi immaginate nemmeno. Le ferite sono dure a rimarginarsi ammesso che siano rimarginabili. Ma bisogna trovare la forza per non darla vinta ai benpensanti che ti umiliano in classificazioni arcaiche, anacronistiche e intollerabili. E bisogna trovare la forza per mandare al diavolo quelli che sanno parlare solo con gli inconsulti gesti dettati da comportamenti triviali e primitivi. «Non possono averla vinta». Ripetetevelo spesso. Sempre. Ogni giorno. Ogni maledetto giorno in cui dovrete lottare con i vostri fantasmi, con i vostri ricordi, con i segni taglienti lasciati sulla vostra anima da comportamenti subumani e inumani. È la motivazione che mi ha spinto a lottare prima e a vivere dopo. «Cazzo! Non posso darla vinta ai bastardi». Per anni è stato il mio mantra. La spinta ad andare contro la corrente della propria spirale interiore. A invertirla, a trasformarla in una spinta. Un imporre agli altri la propria persona, la propria personalità, la propria esistenza, il proprio essere. Libera. Da tutto e da tutti. Sono troia per questo? No. Sono me stessa, sono semplicemente libera di fare quel che cazzo mi pare. Anche perché se lo stesso comportamento fosse tenuto da un uomo sarebbe un gran figo e la società sarebbe pronta ad acclamarlo. Sono un essere umano così come lo è il maschio figo che ne scopa una diversa a sera. Rivendico la libertà di farlo senza essere necessariamente una puttana per questo. Non ho legami. Faccio sesso quando mi va e con chi mi va. Non guardo in faccia a nessuno, né a legami, né ad amicizie, né a convenienze o opportunità sociali e convenzionali. Seguo solo l’istinto che mi porta a ricercare il piacere fine a se stesso. Chi mi ritiene una da evitare o una puttana, potrebbe anche aver ragione in base al comune pensare, ma offende prima di tutto la sua intelligenza e delinea la trivialità e arretratezza del proprio pensiero.
Rivolgo un pensiero, sentito e commosso, a tutte quelle che hanno dovuto subire fisicamente l’arretratezza delle anime di animali beceri e insulsi. Ma a questi ultimi ribadisco e ribadirò fino alla morte che devono rassegnarsi a veder crescere esponenzialmente quelle che si rifiutano di sottomettersi a stereotipi laceri e inutilmente soverchianti.
Libere di essere libere.