Sai che non funzionerebbe

Odio la pioggia. Così come odio gli ombrelli, ma in giorni come questi è difficile farne a meno. Ma non posso non uscire. Devo distrarmi, è stata una settimana intensa all’interno di un periodo particolarmente intenso. Ho bisogno di occupare il cervello con stimoli che mi aiutino a trovare momenti di profonda serenità e divertimento. Stavo quasi per uscire rassegnandomi a prendere l’odiato accessorio per cercare di riparare il riparabile dall’acqua che viene giù a dirotto, quando mi arriva un messaggio a sorpresa. «Sono a Firenze, se sei libera passo a prenderti fra un’ora». Improvvisata più che gradita da un vecchio amico imprevedibile, di quelli che possono presentarsi da te nel giro di cinque minuti e poi non vederlo più per mesi se non per anni. Non potremmo mai stare assieme, ce lo siamo detti più volte. Ci troviamo reciprocamente insopportabili, ma fisicamente ci piacciamo, non poco. E pensare a lui mi ha eccitata appena vista la sua disponibilità. «Sono già ad aspettarti» seguito da un epiteto non proprio carino nei suoi confronti, replicato da uno peggiore verso di me. Solo e puro sesso, quello che ci vuole, spesso, per dare sfogo ai propri istinti, alle proprie fantasie più recondite. Ma gli ultimi scambi di messaggi con W.P., l’unica follower che mi abbia contattata, ha lasciato qualche traccia nella mia anima e nella mia voglia che mi porta a mettere le cose in chiaro con lui: «Stasera però conduco io il gioco. E zitto». Non mi risponde.

Le suole delle mie Louboutin nere si adagiano lentamente sui gradini che mi fanno scendere ad aspettarlo. La mia fantasia corre a ripensare all’ultima volta che ci siamo visti, ormai due anni fa. Una vita fa, per me. Per tanti motivi, lieti e non. È un gran figo, anche se non gli ho mai dato la soddisfazione di dirglielo, ho sempre pensato a lui come ad un modello mancato. Lineamenti forti su un viso delizioso, fisico non certo palestrato ma sufficientemente muscoloso da far intuire che è abituato ad un esercizio fisico quotidiano di modello mancato. Questo è quello che ho sempre pensato fosse il suo «non-lavoro». In realtà è un operaio, ma se si fosse saputo «vendere» (in senso lecito…) forse lo vedremmo altrove adesso. Ferma l’auto in doppia fila davanti al portone di casa e scende ad accompagnarmi in auto coprendoci con la sua giacca. Aspetto di essere seduta per abbracciarlo e salutarlo col calore che la pioggia avrebbe attenuato. Lo trovo in forma, seppur leggermente ingrassato, ma è sempre un gran bel modello mancato. Ovviamente quest’ultima considerazione la terrò per me, cercando di denigrarlo come facciamo fra di noi un po’ per gioco e un po’ per stuzzicarci: «ti trovo un po’ ingrassato». Bastardissima, lo so. Sorride senza replicare. Strano, ricordo aveva sempre pronta una contro-battuta da sbattermi in faccia. Parliamo amabilmente delle rispettive vite e mentre viaggiamo accavallo le gambe, lentamente, facendo salire un po’ il miniabito, mettendo in mostra le mie gambe, cercando di essere la più sensuale possibile. Lui mi parla del più e del meno, del suo lavoro, della sua casa, del traffico, di dove andare… prima di interrompersi sorridendo quando gli passo una mano sulla nuca accarezzandogli i capelli scuri. Sono schietta con lui: «Ho una gran voglia di scopare». La butta sull’ironia, ma mi fa capire che anche lui ha voglia di me. La sua mano scivola dal cambio sulla mia coscia, accarezzandola attraverso il nylon del collant nero velato. «Sempre uno spirito libero?». Non gli rispondo, guardandolo per fargli capire che non potrebbe essere diversamente. Faccio scendere la mano dalla sua nuca, lentamente sul suo petto fino a farla arrivare alla sua emozione, ben evidente… «Dopo se te lo meriterai, si va a casa mia, ma prima offrimi una birra e poi… devi sudartela la nottata, lo sai, vero?». Mi guarda interrogativo chiedendomi riguardo alla storia della conduzione del gioco. Lo ignoro, godendomi l’eccitazione dell’attesa. Ho voglia. Da morire. Mi sento già grondare, ma cerco di contenermi accavallando ancora le gambe e stringendo le cosce.

Ci sediamo sulla panca di legno del pub guardando le rispettive voglie attraverso il vetro sporco di schiuma. Nota le mie Louboutin complimentandosi con me per l’eleganza e per la scelta. «Me le hanno regalate». Gli va quasi di traverso il sorso: «Ci deve tenere a te…». Lui non completa la frase ed io lascio cadere il discorso, prima che lui ci faccia uscire dall’impasse dell’imbarazzo con un complimento «sono perfette per te, stai d’incanto». Un po’ troppo stucchevole per i miei gusti, ma apprezzo la via di fuga presa al volo. Faccio scivolare una mano sotto il tavolo e gli tocco i pantaloni per avere la conferma dell’eccitazione che gli leggevo negli occhi. La tengo lì, sfiorandolo, sentendolo crescere ancora di più, al pari del mio desiderio. Gli metto una gamba sulla sua e mi avvicino al suo orecchio sussurrandogli parole che lo fanno andare su di giri più di quanto non lo fosse già. Sono bagnata all’inverosimile e sento una voglia pazzesca di saltargli addosso.

Finiamo le birre e corriamo sotto la pioggia scrosciante a raggiungere la macchina. La luce interna dell’abitacolo non fa in tempo a spengersi che ci troviamo già avvinghiati l’uno all’altra. Le mani ovunque. Poi, improvvisamente, lo spingo contro il sedile: «Ti ho detto che stasera conduco io il gioco». Mi guardia perplesso. Porto il mio indice sulle labbra facendogli segno di stare zitto, prendo le sue mani e gliele porto dietro la schiena: «Non mi dovrai toccare per nessuna ragione al mondo… Se ci riesci andremo a casa mia. Ma dopo. Se farai il bravo». La luce interna si spenge lasciandoci illuminati solo con le altalenanti luci del parcheggio, filtrate dall’abbondante pioggia che scorre sui vetri che si appanneranno di lì a poco. Lo guardo dritto negli occhi e mi allontano da lui appoggiandomi allo sportello. Le mie mani alzano il vestito, lentamente… arrivando a scoprire i collant mentre le mie Louboutin si distanziano l’una dall’altra… Mi mostro a lui, lì in auto, a gambe larghe, prima che la mia mano entri dentro i collant per farli scivolare lentamente lungo le mie cosce, lasciando all’inizio la scia umida del mio desiderio. Il perizoma nero velato esalta la mia eccitazione trasudando tutta la mia voglia. Vorrebbe avvicinarsi. Lo spingo indietro con un piede, portandogli la scarpa sul petto. «Stai al tuo posto». Le mie dita iniziano a darmi piacere. Gli consento di usare le mani solo per accendere il riscaldamento dell’auto costringendolo poi a rimetterle dietro di sé. Muoio dalla voglia e la situazione estemporanea mi eccita da morire. Le mie dita smettono di darmi piacere e vanno a bagnare appena le sue labbra, prima di essere fagocitate dalla sua bocca che le succhia con passione. Faccio scorrere le mani sulle gambe, lentamente, fino ad incontrare il vestito arrotolato. Quasi automaticamente le unghie smaltate spariscono sotto il vestito e prendendolo lo sfilano lentamente dalla testa. Le sue mani si avventano sui miei seni, tenuti a stento da un reggiseno totalmente trasparente che lascia intravedere tutta l’eccitazione dei capezzoli protesi verso voglie incontenibili. Lo richiamo all’ordine, facendogli rimettere le mani dietro di sé. Il mio sguardo dritto nel suo, mentre porto le mie dita sulle labbra che si schiudono per accoglierle. Una volta bagnate della mia saliva, scendono sul nylon del reggiseno a tormentare di piacere i capezzoli turgidi di desiderio. Ho un sussulto mentre mi sfioro i seni. Il corpo reagisce quasi a scatti. Le mie gambe si aprono ancora di più. I vetri ormai totalmente appannati impediscono dall’esterno di vedere tutta la nostra folle eccitazione. Mi scopro i seni tirandomi da parte il reggiseno, lo sguardo fisso nei suoi occhi. Sta morendo di voglia. E anch’io. «Voglio farti morire». Mi avvicino a lui. Lo bacio sull’orecchio, prima di far scendere la mia lingua lungo il suo collo. Il suo respiro spezzato tradisce tutta l’eccitazione che lo pervade, ma riesce a tenere le mani ferme. Mi lascia campo libero. Uno dopo l’altro i bottoni della camicia si aprono per consentire alla mia lingua di disegnare con la saliva sensuali arabeschi sul suo petto, prima di scendere giù a bagnare l’ombelico e ancora più giù seguendo la traccia dei suoi peli. Le mie mani slacciano la cintura. Prendo la zip fra i denti e la faccio scivolare lentamente. Sento tutta la sua voglia premermi contro il viso. Gli calo i pantaloni. Gli slip contengono a stento la sua eccitazione stimolata dalla mia lingua attraverso il cotone. Lo guardo negli occhi mentre le mie dita entrano nell’elastico dei suoi slip per abbassarli.

Un gesto improvviso e mi trovo lì davanti tutto il suo desiderio. Lo guardo, mi avvicino senza toccarlo, faccio sentire la mia presenza, il mio respiro, ma senza avere un contatto diretto. Lui prova a muoversi, ad avvicinarmelo ma riesco a tenerlo a distanza. Sono eccitata e si sente dal mio respiro e dalla mia voce rotta che fa più di una pausa nel dirgli «te l’ho detto che ti avrei fatto morire…». Poi la voglia mi pervade e le mie labbra si trovano a cingerlo, la mia lingua a solleticarne i punti più sensibili. Poi mi stacco, mi rimetto appoggiata allo sportello mentre le mie mani slacciano quel che resta del reggiseno. Sento il freddo del vetro alle spalle, disegnando un’involontaria area nitida da cui i desideri altrui potrebbero trovare appagamento voyeuristico. Mi avvento di nuovo su di lui, iniziando a baciarlo a lungo, ovunque, scendendo giù lentamente… tracciando una linea con la lingua. Ho una voglia matta… Lo succhio di nuovo, a lungo, violentemente, lo sento sussultare, mi allontano di nuovo. Lo vedo pulsare. Le mie mani lo stringono adesso, con un lento movimento lineare si muovono con una delicatezza inconsueta… «Ho una voglia matta. Andiamo da me… Accendi il motore». Esegue senza fiatare e senza ricomporsi. Raccolgo le mie cose ma resto quasi nuda mentre viaggia alla velocità della sua eccitazione. Parcheggia a caso davanti casa mia. Si ferma a guardarmi pensando che mi rivesta, ma lo lascio spiazzato uscendo seminuda, coperta solo dal cappotto, senza nemmeno mettermi per bene i collant. Ho il cuore a mille. Voliamo le scale senza nemmeno prendere l’ascensore. La borsa, malefica, cerca di rallentare la nostra voglia non facendomi trovare le chiavi. Il cappotto si apre scoprendo gran parte del corpo, nudo e voglioso. Chiudo la porta alle mie spalle, prima di far cadere i vestiti superflui tenuti in mano. Resto nuda, con le mie Louboutin nere ai piedi. I collant finiscono ai piedi del divano. Il perizoma poco più in là. Lo spingo contro il muro. «Conduco io, ho detto!». Mi allontano. Mi siedo sul divano divaricando le gambe, mostrandomi a lui in una posa oscena. Le mie mani scorrono lente sul mio corpo. Sta morendo di voglia. Lo leggo nel suo sguardo, lo vedo nei movimenti involontari. Mi avvicino e lo spoglio, lentamente. Lasciandolo totalmente nudo in piedi lì davanti a me.

Non ce la fa, si avventa contro di me. Lo respingo ancora spingendo una Louboutin sul suo petto, ma lasciandovi l’impronta della sua impazienza. «Ti ho detto che conduco io… O preferisci prendere la porta e andare a casa ora?». Il tono non è dei più garbati, forse per paura che decida di andarsene lasciandomi in uno stato osceno di eccitazione disarmante. La domanda fortunatamente era retorica. Torna al suo posto. Adesso le mie Louboutin gli sono proprio davanti. Inizio a strusciare il mio corpo contro il suo, i miei seni contro il suo petto, ricevendone un piacere immenso dalla sollecitazione dei capezzoli. Ha voglia, gli sta scoppiando si vede. Avvicino le mie labbra alle sue ma senza baciarlo. Gli faccio sentire il calore della mia bocca senza farla aderire al suo viso. «Ho voglia» gli dico sottovoce. Mi trovo le sue mani sulla mia testa che vorrebbero che scendessi giù. Mi scosto improvvisamente e gli do uno schiaffo improvviso che gli lascia il segno sulla guancia. «Lascia fare a me, ti ho detto!». Mi riallontano da lui e mi metto sul divano, ancora a gambe larghe. «Vuoi scoparmi?» Non risponde avvicinandosi a me. Ancora la scarpa sul petto. «Torna al tuo posto e toccati». Non fiata… indietreggiando fino a trovarsi spalle al muro. La sua mano lo impugna, forte. È già eccitatissimo. La muove lentamente, verso di me, più volte. «Continua» gli dico mentre mi avvicino a lui toccandomi. Mi inginocchio ai suoi piedi. Si ferma. «Continua ho detto!». Ancora la sua mano che lo cinge con una presa sicura prima di ricominciare a muoversi con un moto sensualissimo. Ho il cuore a mille. Tengo il mio viso a pochi centimetri, senza avvicinarmi di più… Lo vedo ansimare. Gli fermo la mano. «Ora ci penso io». Sto lì immobile, aspettando che si allontani il culmine del piacere… Deciderò io quando sarà il momento. Penso a W.P., alle sue parole e la immagino lì a guardarmi mentre cerco di mettere in pratica i suoi consigli. Mi eccita pensare che possa vedermi mentre sono lì a lasciarmi andare.

Adesso c’è la mia mano che si muove dandogli piacere… La mia bocca ogni tanto si prende il piacere di accoglierlo fra le labbra… prima di lasciarlo tornare in balia delle mie mani. Non sta nella pelle, si muove e vorrebbe spingerlo nella mia bocca. «No. Non ancora.» Mi rimetto in piedi, gli do le spalle, prendo un preservativo dal cassetto e glielo tiro in faccia. Nel frattempo torno a dargli le spalle e mi metto piegata sul divano, con le gambe aperte, ad aspettare di sentirmelo dentro. Non tarda troppo… Lo sento subito dentro. A fondo. Inarco la schiena dal piacere, mentre le mie mani sollecitano i seni, facendomi eccitare ancora di più. Non ha mai avuto questa forza nel penetrarmi. Forse l’attesa ha avuto i suoi effetti. Gemo di piacere… ogni volta che lo spinge dentro di me. Poi si ferma, rallenta… lo tira quasi fuori per poi rispingerlo dentro di nuovo. Ci sa fare. «Scopami» gli grido con una voce roca dall’eccitazione folle del momento. Adesso il ritmo aumenta, ancora, ancora, ancora più forte… Mi stringe i fianchi mentre mi penetra con forza. Grido dal piacere mentre lo sento spingere e tremare… È spossato. Si ferma su di me in istanti immobili di piacere infinito. Non so quanto siamo stati così… fermi uno dentro l’altra ad aspettare che i rispettivi respiri tornino su ritmi sostenibili. Mi accorgo solo ora che nell’eccitazione del momento ho perso una Louboutin. Lo sento uscire da me, si siede sul divano. Spossato. Lo bacio. A lungo, lentamente con passione che rifomenta la mia voglia. Gli sfilo il preservativo e do fondo a tutte le mie armi per rianimarlo. Non è semplice. Avrei dovuto aspettare ancora, ma la mia voglia è ancora enorme. Ci provo in tutti i modi, alla fine ci riesce la mia bocca a scapito del sapore di lattice rimasto su di lui. Lo succhio avidamente, cercando di fargli sentire tutto il calore delle labbra e la maestria della mia lingua. Le mie mani stringono le sue natiche sode mentre lui accompagna i movimenti della mia testa flettendosi leggermente sulle gambe. Mi arriva improvvisa, in più riprese trovandomi ben presto la bocca riempita del suo prezioso nettare che gusto fino all’ultima goccia. Mi chiede di restare. Non gli rispondo. Mi alzo, in silenzio. Vado in bagno. Quando torno in sala non si è mosso. Ci sorridiamo con gli occhi. Poi mi chino a raccogliergli i vestiti per farlo rivestire. «Sai che non funzionerebbe». Il suo sguardo tradisce un pizzico di delusione. «A presto».

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