Peccato

Oggi non ho voglia di lavorare. Capitano di quelle giornate in cui qualunque cosa tu faccia ti rendi conto di avere la testa altrove… anche se non necessariamente a qualcosa di specifico… Forse il bisogno di ferie e di riposo si fa sentire ed è acuito dal caldo torrido… Sono in ufficio, davanti al solito monitor, in stanza con il solito idiota che non sa sillabare niente che non sia ovvio e banale. Il mio look mi aiuta a creare qualche diversivo con i colleghi. Alcuni stanno al «gioco», altri subiscono e incassano malamente… Intanto mi godo le situazioni… mi piace stuzzicare. Di persona e non… Mi diverte veder sbavare dietro ad un paio di tacchi altissimi o a minigonne particolarmente succinte…

Ho iniziato quasi per gioco e adesso ne sono pienamente coinvolta… Mi piace la cosa… Sì. Mi eccita anche, talvolta. Come adesso. Oggi è uno di quei giorni in cui la voglia mi pervade fin dal mattino… come ieri… da quando ho iniziato a vestirmi… Mi eccita pensare ai maschietti che incontro per strada o in ufficio arrapati dal mio modo di vestire, di camminare, di essere… donna. Mi eccita pensarmi desiderata… e lo sono. E non mi nascondo… anzi… faccio di tutto per mettermi in mostra e esporre tutta la mia femminilità e sensualità…

Oggi ho ancora indosso le mie decollete tacco quattordici, le stesse che indossavo ieri. Rosse, altissime, lucide. Sono vistose, lo so. E mi piacciono, forse anche per questo. Non passo inosservata. Stamani ho scelto una gonnellina a pieghe bianca, fresca e sufficientemente larga da stimolare la fantasia di chi mi osserva che a volte si cimenta in improbabili peripezie ginniche per veder cosa possa esserci sotto. A volte sto al gioco e faccio finta di niente, altre volte faccio finta di beccarli, dipende da quanto mi senta stronza. So di esserlo. Così come so bene che mi guardano.

Sento i loro occhi su di me. E mi piace. Oggi un collega mi ha invitata a prendere un caffè… scusa banalissima ma accettata… pur di uscire dal torpore mattutino… Non appena si chiudono le porte dell’ascensore prende coraggio e mi dichiara tutta la sua ammirazione per il mio look e per il mio modo di essere. Avrei voluto dirgli tutto il mio disprezzo per come mi aveva bellamente ignorata fino a qualche mese fa, fino a quando le mie gambe ora ben in vista erano coperta da dei jeans larghi o il mio ventre adesso scoperto dal top succinto, era nascosto dietro a t-shirt di dubbio gusto. Fra l’altro è un tipo neanche male e in passato gli avevo anche lanciato dei messaggi, ovviamente non recepiti… come spesso accade alla maggior parte dei maschietti… Soprassiedo ai miei pensieri vendicativi e decido di passare all’attacco… Lo guardo dritto negli occhi, mi avvicino a lui, imbarazzatissimo, gli aggiusto la cravatta… sfioro il mio corpo al suo e avvicinandomi al suo viso quasi sottovoce gli chiedo cosa gli piaccia di me… poi mi allontano… guardandomi allo specchio ed aggiustando il mio top. Lui non apre bocca, come sempre.

Le porte si aprono… esco camminando decisa verso il distributore… Sento i suoi passi dietro di me… Mi metto a sedere, lentamente, lo guardo negli occhi e lentamente accavallo le gambe… «Cosa mi offri?» gli chiedo incrociando uno sguardo semi-inebetito. È eccitato, lo vedo… percepisco il suo respiro irregolare, posso anche percepire altro… Intanto inizio a muovere la mia gamba, disegnando percorsi con la mia scarpa… La sua risposta è banale… «Tu cosa vuoi?» ma decido di giocare… e rilancio ridendo maliziosa «Tutto quello che vuoi offrirmi…». Pochi istanti dopo mi trovo un bel caffè bollente sull’orribile tavolinetto metallico. Altra occasione mancata. Come sempre…

Tutti lanciano i sassi… e poi corrono a nascondere la mano. Ma oggi ho voglia… e la voglia mi fa diventare più bastarda del solito… Dopo aver macchiato di rossetto il bicchierino di plastica lo guardo di nuovo negli occhi e gli ripeto la domanda fatta in ascensore… ancora in attesa di risposta. Si mette a disquisire su bellezza, occhi, bla bla… Ipocrit! So bene cosa possa pensare e cosa vorrebbe. Ma come tutti non ha il coraggio di spingersi oltre le normali convenzioni sociali. Ha appena finito di bere il caffè quando appoggiandomi allo schienale della sedia, allungo le mie gambe sulle sue… Le mie scarpe rosse adesso spiccano sul grigio dei suoi pantaloni… «Ti piacciono?» gli dico, sorridendogli… e godendomi il suo palese imbarazzo… Si guarda attorno, ha paura che altri possano vederci o meglio… che altri possano vederlo, lui… sempre perfettino e integerrimo come vuol farsi sembrare…

È imbarazzatissimo dalla situazione, per lui assolutamente inaspettata. Il suo sguardo è impazzito non sa più dove e cosa guardare… evita i miei occhi… in questo momento non regge lo sguardo… scorre le mie gambe… si sofferma sulla gonna… lo vedo… mi muovo leggermente, gli lascio intravedere il perizoma nero che lui ignora essere bagnato… Muovo le mie gambe… con il tacco lo sfioro… proprio lì… ne sento l’eccitazione… Così come sento che lui non si spingerà mai oltre… Mi alzo in piedi… «Sarà meglio andare?» gli dico sbrigativa… Non risponde. Come sempre. Prendo un tovagliolino di carta, mi pulisco le labbra, lo faccio cadere a terra. Volutamente. Neanche a farlo apposta svolazzando finisce proprio ai miei piedi. Lo guardo dritto negli occhi «Lo raccogli tu?». Sono stronza, lo so. Mentre si china, metto il mio tacco quattordici sul tovagliolino… Lui alza istintivamente lo sguardo verso di me… porto il mio indice sulle mie labbra chiuse e contratte e gli faccio il gesto di un bacio. «Peccato» gli dico. E poi il ritmo dei miei tacchi sul pavimento lucido mi riporta all’ascensore. Che prenderò da sola. Anche stavolta.

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