Cammino consumando le suole rosse delle mie Louboutin sulle pietre secolari del centro, calpestando ad ogni passo qualche secondo di anormalità, qualche pezzetto di vita passato alla ricerca di un piacere che mi ripaghi della quotidianità vissuta in pochi metri quadri di vita e di tempo. Anche stasera a caccia di un modo più che di una persona. Un modo che mi tenga impegnato il cervello, che mi risarcisca di qualche giorno di forzata astinenza e di stress emotivo, che ricacci lontani pensieri riaffiorati più o meno accidentalmente e che lasciano una scia di sabbia e vetro sulla mia anima. Non so se sia il modo migliore di lenire le ferite, ma stasera non voglio pensare. Voglio camminare sull’orlo della mia femminilità, essere l’equilibrista della mia anima. Vivere il «qui e ora» della filosofia zen senza pensare all’improbabilità del domani e, soprattutto, senza cercare nel passato qualcosa che non troverei. Anzi, troverei ben di peggio ed è meglio lasciarlo rintanato e chiuso a chiave nei forzieri della memoria. Incrocio molti «modi», dagli sguardi affascinanti o insipidi, dalle parole scontate o entusiasmanti, dall’aspetto raffinato o trasandato. Un melting pot di vite che si intrecciano in imperscrutabili percorsi della vita, in cui basta un attimo per far cambiare il corso delle storie altrui. Nostro malgrado. A prescindere da qualsiasi cosa si faccia. Così come non si può non comunicare, allo stesso modo non si può non influenzare la vita degli altri. Anche se ti limiti a specchiarti negli occhi di un anonimo passante che condivide con te pochi istanti della propria esistenza nella fugacità di un incontro fortuito in una pausa dell’eterno inseguire un qualcosa che non si trova. Mi perdo per un attimo infinito negli occhi di un ragazzo dialogando con lui senza dire una parola. Attraverso strade intrise di una urbana maleducazione sufficientemente temperata da una malsana abitudine alla sopraffazione reciproca. Entro in un locale a sorseggiare una birra amara come il retrogusto di questo weekend. La musica alta aiuta a non pensare a niente e a non sentire le inutili parole di chi ti parla attorno. Ipocriti che non vanno mai al punto, nascondendosi dietro a perifrasi sulla bellezza, sulla sensualità, sull’abbigliamento. In realtà vogliono solo portarmi a letto ma nessuno ha il coraggio di dirlo esplicitamente. La serata viene salvata dall’intraprendente intelligenza di uno di cui non ricordo nemmeno il nome, ma per cui vale la pena lasciare la birra in attesa di essere nuovamente sorseggiata a distanza di qualche decina di minuti, magari per mischiarla al sapore di lui e della sua essenza più intima, prima di venir cancellato assieme alle ultime gocce ambrate rimaste nel boccale. Passo la lingua sulle labbra, quasi per ricercare il mix di sapori che mi ha inebriato. Al tavolo accanto mi osservano interessati. Accavallo le gambe, lentamente, con movimenti sapientemente sensuali.Quel che resta della suola rossa sottolinea la mia voglia di andare oltre. Se ne accorgono. Uno di loro si alza e si avvicina al mio sgabello prima di naufragare nella banalità di una domanda. Fottiti. Ti avrei scopato se ti fossi dimostrato con un briciolo di inventiva, di iniziativa in più. «Sei sola?» vallo a dire alla troia di turno che aspetta al bancone. Prendimi il cervello, coglione. È l’unico modo per avere me stessa. Non gli rispondo. Gli alzo il medio ed esco dal locale. Fottiti!