Sono eccitata, eccitatissima… appena uscita dall’ufficio dopo che la sua collega per poco non ci beccava… sarebbe bastato un paio di minuti prima e… Ma è andata bene… via… Ho, comunque, il cuore in gola e l’eccitazione a mille mentre cammino per gli anonimi corridoi verso l’uscita. Si aprono le porte dell’ascensore, dentro trovo tre anonime figure vestite allo stesso modo tanto da sembrare intercambiabili tra di loro. Saluto, non ricambiata da nessuno di loro, mentre continuano i loro discorsi economici fatti di numeri e teorie. Mi sposto dietro il terzetto senza quasi che si accorgano della mia presenza, avvicinandomi allo specchio. Mi sistemo i capelli, mi aggiusto il miniabito sbirciando nella scollatura quel tanto che basta dal vedere i miei seni ancora sporchi di lui. Mi eccito nel vedermi sporca e nel pensare al suo sapore. Vorrei leccarmi per assaporare ancora il suo seme. Il tessuto che sfrega sui capezzoli mi fa quasi gemere di piacere mentre si inturgidiscono, ben evidenti. Li sfioro… con un gesto lento e delicato… guardandomi allo specchio, riflessa in un’animalesca immagine che deforma il mio volto dall’eccitazione folle che sto vivendo. Stringo leggermente le cosce, sollevando all’indietro una delle due Louboutin. L’apertura delle porte fa svanire temporaneamente i pensieri più turpi… Riappoggio la scarpa a terra, girandomi di scatto per uscire nonostante le porte cercassero quasi di trattenermi nel mio desiderio. I tre sono spariti nel nulla non appena l’ascensore di è fermato. Restituisco il badge alla receptionist che resterà ignara di esser stata complice inconsapevole di una folle emozione. Esco.
La vampata di caldo esterno mi arriva improvvisa, facendomi sentire quasi bruciare le gambe… o forse sarò io a bruciare… non lo escludo. Ho ancora il cuore che batte all’impazzata. Cammino nervosa per cercare di ritrovare una normalità che so che non arriverà. Squilla il telefono. Parlo a fatica con la voce rotta dall’eccitazione. Adduco la scusa a delle inesistenti scale e al caldo, ma l’interlocutore non potrà mai immaginare il vero motivo di quella fatica a parlare fluentemente. Non posso continuare… Cammino sempre più nervosamente al ritmo stizzito dei miei tacchi. Entro nel primo bar che trovo. L’uomo dietro al banco mi passa svogliato la chiave del bagno restando in silenzio alla mia richiesta. C’è un unico bagno, sporco quanto basta dal farmi sentire ancora più sporca. Chiudo la porta velocemente mentre mi cade la chiave. La lascio a terra per la frenesia di arrivare a me. Mi sfilo il miniabito incastrandolo alla meglio nella maniglia mezza scassata che quasi si apre. Spostandomi nell’angusto spazio dò un calcio alla chiave che va a sbattere contro il muro davanti. Mi accovaccio sui miei tacchi, allargo le gambe… le mani vanno subito sui seni… a cercare ancora tracce di lui, quasi seccate, assorbite o sparite. Mi porto le dita alla bocca, assaggiandone ancora l’odore… prima di scendere violentemente sulla mia intimità a darmi un piacere esplosivo che arriva in pochissimi secondi. Tremo, convulsa mentre i brividi di piacere mi percorrono l’intero corpo, facendolo vibrare di emozione con spasmi sempre più violenti. Nonostante ci abbia provato, non riesco a trattenere dei gemiti che sanno quasi di liberatorio… Appoggio la schiena alle mattonelle mezze sfatte respirando profondamente… Mi lascio andare un minimo e muovendomi col ginocchio colpisco la porta che si apre leggermente. Cerco di richiuderla ma senza arrivarci. Resto lì, comunque. Alla mercé degli sguardi di chi potrebbe entrare… Mi sollevo, alla meglio, traballando un po’ sui tacchi e con un lieve giramento di testa. Mi appoggio ancora al muro. Respiro… Riprendo il miniabito dalla maniglia scassata e lo faccio di nuovo scivolare su di me… Le gambe fradicie di desiderio… cerco di farle tornare a un improvvisato contegno con delle salviette prese alla meglio dalla borsa semiaperta appoggiata alla meglio. I capezzoli ancora protesi contro il tessuto, sporgono turgidi ed evidenti, quasi doloranti per la tensione.
Riconsegno la chiave, consumando qualcosa a caso chiesto all’indolente uomo dietro il bancone, prima di uscire velocemente. Un’insolita ventata mi accoglie, inaspettata, sul marciapiede, donandomi un attimo di respiro. Ma dura poco, prima che il sole torni a cuocermi lentamente in attesa del taxi. Non ci mette molto ad arrivare, anche se per chi aspetta qualsiasi tempo è sempre troppo… Forse fa parte della mia fiorentina capacità di non esser mai contenta. Reclino la testa sul sedile socchiudendo gli occhi, cercando di riportare il respiro alla normalità. Mi assopisco quel poco che mi è concesso tra i rumori del traffico e della discutibile colonna sonora neomelodica unita alle altrettanto discutibili velleità canore del conducente. Gli porgo la carta per pagare la sua prestazione canora. Scendo. “Buon proseguimento” mi dice. Gli sorrido, chiudendo lo sportello dietro di me.